Tre cimature per forzare il melone

Fondamentale per la buona riuscita della produzione in termini sia qualitativi, sia quantitativi. L’esperienza nella Piana del Sele

Il melone, coltivato negli areali mediterranei da molto tempo, ha visto un’evoluzione varietale ampia. La proposta delle sementiere punta a soddisfare da un lato il gusto del consumatore, dall’altro un mercato che richiede uno stoccaggio e un trasporto che si sono sempre evoluti nell’esigenza di raggiungere anche nuovi mercati.

Valter Cascone, perito agrario, da sempre impegnato nel mondo delle sementi di ortaggi, grazie alla sua esperienza, segue per professione la coltivazione del melone in Piana del Sele da molti anni osservandone attentamente l’evoluzione.

«In passato – afferma Cascone – le varietà disponibili consentivano principalmente l’utilizzo del raccolto per i mercati locali. In seguito, le ditte sementiere hanno investito per migliorare la shelf life nel post raccolta e questo ha consentito la commercializzazione presso la grande distribuzione e i mercati del Nord Italia».

Il panorama varietale è quindi in continua evoluzione con sempre nuove proposte, di conseguenza anche la tecnica agronomica è variata in funzione dell’evoluzione delle nuove varietà.

Trapianto e sesti d’impianto

«Nella Piana del Sele, in provincia di Salerno, zona tradizionalmente vocata alla produzione del Melone – sottolinea Cascone – si trapianta da febbraio a marzo in serra ed aprile e maggio in pieno campo. I sesti d’impianto vanno dalle 7000 piante a ettaro alle 10000 per le varietà più contenute. L’ideale produttivo è di circa 500 q ad ettaro ma una buona produzione si assesta già dai 350 q/ha. Con un produzione a pianta di 4 frutti da circa 1,2 Kg. Di solito nelle nostre serre da 7,20 di larghezza, si trapiantano tre file distanti 2,40 cm l’una dall’altra e 60 cm tra le piante».

Tecnica dell’innesto

Le piantine trapiantate possono essere innestate, per fornire resistenza a importanti malattie, oppure possono essere ibridi selezionati dalle varie ditte sementiere.

«Per l’anguria – precisa Cascone – è imprescindibile l’innesto su zucca o su ibrido interspecifico di Cucurbita maxima x Cucurbita moschata per l’altissima sensibilità al Fusarium e al collasso fisiologico, per la maggiore vigoria trasmessa alla pianta e la produzione di frutti di maggiore pezzatura. Invece, l'innesto del melone non è una tecnica diffusa nel salernitano, poiché gli ibridi introdotti sono "efficienti". Inoltre vengono principalmente utilizzate, come portinnesto, altre varietà di melone, resistenti alla IV razza di Fusarium ma non vigorizzanti. Viceversa va però segnalato che nella provincia di Caserta si è reso necessario l’innesto, unico modo per continuare a coltivare il melone, altrimenti soggetto ad attacchi di funghi patogeni e conseguenti collassi fisiologici».

Cicli e tecniche

Una volta effettuato il trapianto come ci si deve comportare?

«Una volta messa a dimora in serra, la pianta del melone, che cresce con alta temperatura e alta umidità relativa, andrebbe coperta con un tunnellino di tessuto non tessuto per facilitarne l’acclimatamento. È importante sottolineare che lo zero di vegetazione per le cucurbitacee si aggira intorno ai 12 °C, l’optimum si aggira tra i 22 e i 28 °C, mentre le temperature che superano i 35 °C compromettono la traspirazione della pianta e la qualità del polline».

Il ciclo poi procede in funzione di numerose variabili.

«Il ciclo in serra per andare a raccolta va dai 65 giorni per i trapianti più precoci fatti a febbraio, per arrivare ai 90 giorni per le varietà più tardive, mentre in pieno campo si ha una forbice che va dai 55 giorni ai 70.

Il periodo di raccolta, dal primo all’ultimo melone, è molto variabile e dipende dalle caratteristiche della pianta, dalla varietà, dalla natura del suolo, dal tipo di concimazione, dall’andamento stagionale e dal tipo di allegagione che ne consegue. La pianta può aver allegato i fiori quasi in contemporanea e avrà perciò un ciclo di raccolta più breve di una pianta che allega fiori a molta distanza l’uno dall’altro».

Cimatura

Esiste però per i produttori la possibilità di intervenire con tecniche in grado di condizionare e forzare lo sviluppo del ciclo della pianta.

«Una possibilità di condizionamento e forzatura del melone – precisa Cascone – è la cimatura. Questa tecnica è fondamentale per la buona riuscita della produzione di melone sia in termini qualitativi, sia in termini quantitativi.

La tecnica di “allevamento” vorrebbe che le piante messe a dimora dal vivaio in platò generalmente da 60 fori, venissero cimate alla terza foglia vera. In pratica si asporta la terza foglia, in modo che in corrispondenza delle due foglie rimanenti si sviluppino i getti ascellari dando vita a due apici vegetativi "secondari". La tecnica incontra delle difficoltà legate alla disponibilità di manodopera specializzata e alla maggiore permanenza in vivaio che teoricamente ne aumentano il costo».

Con la cimatura si interviene poi anche in altri momenti dello sviluppo del melone.

«Durante l’accrescimento e lo sviluppo dei getti secondari, all’inserzione delle foglie, c’è l’emissione dei getti terziari. La tecnica prevede la "spuntatura" dei rami secondari per l’anticipo della emissione dei getti terziari, dove la pianta produce i fiori femminili che daranno origine ai frutti. Le principali difficoltà risiedono nella scelta di personale qualificato e nella scelta del momento d’intervento. Una seconda cimatura troppo precoce potrebbe comportare una insufficiente emissione di fiori, mentre quella troppo tardiva potrebbe aumentarne esageratamente il numero. Nel primo caso si possono avere scarsa allegagione e produzione o un incremento della pezzatura dei pochi frutti allegati, rendendoli incommerciabili. Nel secondo caso si rischia l’elevata allegagione, con un'insufficiente pezzatura, che ne compromette così il valore».

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Spinta produttiva

La tecnica della cimatura è strettamente legata alla gestione delle irrigazioni e delle fertirrigazioni.

Si deve dosare la spinta vegetativa dei getti secondari e successivamente dei terziari. Ricordando la regola che la "fase vegetativa" della pianta non deve prendere il sopravvento sulla "fase riproduttiva".

«Dopo l’allegagione dei fiori – continua Cascone – è possibile un’ulteriore cimatura per anticipare l’ingrossamento dei frutti e la raccolta. Cimando i terziari dopo l’allegagione si veicola la maggior parte dell’energia della pianta ai frutti. Se si decide di non cimare, si va incontro a un diverso comportamento della pianta: sul terziario la pianta di melone continua a emettere fiori femminili. Questi, allegando, portano a raccolta dei frutti che saranno di minore pezzatura, più tardivi, allungando il ciclo di raccolta e, infine, esponendo la pianta a un invecchiamento che la rende più suscettibile ai patogeni tellurici».

La tecnica della cimatura risulta efficace quando correttamente applicata. Nella coltivazione del melone, la scelta dei momenti giusti per fare le operazioni colturali, sono importanti come il loro corretto svolgimento: quando cimare, quando iniziare l’impollinazione, quando e come irrigare e concimare, quando e come fare la difesa, non sono operazioni che nella coltura del melone possono essere anticipate o ritardate, se non a costi produttivi significativi.

«Ad esempio, per iniziare la raccolta il 20 giugno, arrivati al 20 maggio si devono inserire le api o i bombi per l’impollinazione e i fiori maschili e femminili devono essere presenti e fertili contemporaneamente sulla pianta. Il che significa che entro il 10 maggio si deve aver effettuato l’ultima cimatura, e così indietro fino al trapianto, che dev’essere stato completato nei primi 15 giorni di aprile».

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Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta il 2 aprile 2015 e fa parte dei 15 più letti sul sito di Colture Protette negli ultimi cinque anni

 

Tre cimature per forzare il melone - Ultima modifica: 2022-08-11T11:02:37+02:00 da Lucia Berti

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