Nbt, le prossime frontiere dell’ingegneria genetica

Nbt ingegneria genetica
Le Nbt applicate all’orticoltura possono essere una risorsa preziosa
Al centro del dibattito riguardante il miglioramento vegetale, le nuove tecniche di breeding Nbt (cisgenesi e genome editing tra tutte) sono strumenti rivoluzionari ma controversi

Tra le biotecnologie più innovative degli ultimi anni, trovano posto le Nbt (acronimo inglese per New breeding techniques), tradotte in italiano in Tecniche di evoluzione assistita (Tea). Si tratta di metodologie di miglioramento genetico di ultima generazione, che possono riscrivere le regole del breeding vegetale.

La rivoluzione delle Nbt

Le Nbt permettono di modificare il Dna delle piante in maniera estremamente accurata e precisa. I cambiamenti apportati possono riguardare un singolo nucleotide, così come uno o più geni. Utilizzando queste tecniche è possibile rimuovere, inserire o silenziare determinati tratti di Dna e ottenere nuove varietà vegetali molto più velocemente rispetto al miglioramento genetico tradizionale.

Ricadono nelle Nbt le tecniche di cisgenesi e quelle di genome editing (come Crispr-cas9). Le prime prevedono il trasferimento di geni tra varietà della stessa specie, mentre le seconde modificano il genoma della pianta senza apportare materiale genetico esterno.

Il risultato dell’utilizzo di queste Nbt è una cultivar diversa da quella di origine, indistinguibile da una ottenuta per mutazione. Dunque, non si tratta di un organismo transgenico (che, al contrario, contiene del materiale genetico proveniente da una specie sessualmente incompatibile).

L’obiettivo delle Nbt è quello di creare varietà con caratteristiche nuove utilizzando un miglioramento genetico mirato. Si tratta di una metodologia molto più rapida ed efficace rispetto al breeding tradizionale, che richiede anni di sperimentazione.

Cisgenesi, di cosa si tratta

Per potersi fare un’idea di cosa siano le Nbt, è necessario conoscere le due tecniche più utilizzate e promettenti: cisgenesi e genome editing.

La cisgenesi prevede l’inserimento di un nuovo gene all’interno di una varietà al fine di migliorarla. Tale gene può provenire soltanto da una pianta della stessa specie o di una specie simile, sessualmente compatibile.

Questa tecnica replica ciò che potrebbe potenzialmente accadere con le tecniche di breeding tradizionale e incrocio per il miglioramento di uno specifico carattere, con vantaggi considerevoli in termini di tempo e precisione. Con gli incroci tradizionali, infatti, insieme al gene target del miglioramento spesso si portata avanti una serie di caratteri associati indesiderati.

Genome editing, come funziona

Il genome editing, invece, è un insieme di tecniche che portano a modificare, sostituire, inserire o eliminare sequenze di Dna per ottenere varietà con un genoma modificato per un determinato carattere.

Con il genome editing si utilizzano strumenti molecolari in grado di tagliare la doppia elica di Dna in un punto specifico (Zfn, Talen e la famosa tecnica Crispr/Cas9) e si lascia alla cellula il compito di ripararla, creando una mutazione.

Le mutazioni sono da sempre una grande risorsa per il miglioramento genetico delle piante commerciali. Infatti, generano nuove caratteristiche che, se sono vantaggiose, possono essere selezionate e utilizzate per aumentare le rese, migliorare la resistenza ai patogeni, ecc. Non a caso, moltissime delle piante che coltiviamo sono frutto di mutagenesi indotta.

Tradizionalmente, per indurre queste mutazioni durante i processi di miglioramento genetico, vengono utilizzati agenti mutageni fisici (ad es. radiazioni) o chimici (come la colchicina) che portano a mutazioni casuali del Dna che, statisticamente, genereranno caratteristiche positive nel fenotipo.

Gli agenti mutageni, tuttavia, “sparano nel mucchio”, pertanto spesso anche le mutazioni vantaggiose portano con sé diversi caratteri negativi (dette mutazioni off-target, perché modificano tratti diversi da quello bersaglio).

Questo problema viene superato con l’utilizzo delle tecniche di genome editing che, essendo sito-specifiche, modificano esclusivamente il tratto di Dna bersaglio.

Le differenze con gli Ogm

Quando si parla di Ogm ci si riferisce generalmente a organismi transgenici ottenuti con tecniche di ingegneria genetica. L’utilizzo della transgenesi permette di inserire all’interno della varietà materiale genetico proveniente da un organismo di un’altra specie.

L’esempio più noto di organismo transgenico in ambito agrario è forse quello delle varietà di soia e mais Roundup ready, resistenti al noto erbicida sistemico non selettivo utilizzato in tutto il mondo. Le piante Roundup ready sono state modificate inserendo un gene prodotto da un batterio, Agrobacterium sp., in grado di conferire alla pianta caratteristiche di resistenza al meccanismo d’azione del glifosato.

Le tecniche di transgenesi prevedono l’inserimento di geni estranei alla specie, potenzialmente provenienti da qualunque altro organismo (batterio, animale, pianta, ecc.). A differenza della cisgenesi, producono piante che in natura non potrebbero esistere.

Cosa dice la legge

In diversi Paesi al mondo le Nbt sono già utilizzate e commercializzate senza necessità di un’etichettatura particolare, perché assimilate alle varietà ottenute per breeding tradizionale e mutagenesi.

In Europa, invece, la normativa di riferimento deriva da una sentenza del 2018 della Corte di Giustizia europea che fa ricadere le Nbt nella Dir. 18/2001 che regolamenta gli Ogm. La definizione di Ogm, come si legge nella normativa è, infatti: «un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale». Ne consegue che tutte le biotecnologie che modificano il genoma di una pianta sono incluse in questa definizione.

La normativa, tuttavia, esclude dagli obblighi relativi agli Ogm le piante prodotte con tecniche di mutagenesi, con agenti chimici o fisici, ritenute sicure per la filiera agroalimentare, perché convenzionalmente utilizzate da tempo.

Ecco, quindi, che per la legge europea, le piante ottenute con editing genetico e cisgenesi sono da trattare come Ogm, con tutte le complicazioni burocratiche che ne derivano. Per poter produrre una varietà Ogm è, infatti, necessario poter impiegare tempo e denaro in anni in ricerca, sperimentazione e studi regolatori: di fatto, solo grandi compagnie possono permettersi un investimento di questa portata, rendendola un’innovazione di élite.

A livello mondiale, solo la Nuova Zelanda ha un approccio simile a quello europeo e regolamenta tutte le biotecnologie di editing genetico come gli Ogm transgenici. Tutti gli altri Paesi seguono strade diverse.

Cosa succede negli altri Paesi

Un approccio opposto a quello europeo lo si trova in Canada, dove la regolamentazione è basata sul prodotto e non sul processo di breeding utilizzato per ottenerla. Tutti i prodotti agricoli seguono le stesse norme, con la sola specifica che le piante che hanno porzioni di Dna estranee alla specie – quindi transgeniche – (classificate come Pnt, piante con nuovi tratti) devono seguire un protocollo di test di sicurezza prima dell’immissione nell’ambiente e sul mercato.

In Argentina, a partire dal 2015, l’applicabilità delle restrizioni delle regole sugli Ogm a piante ottenute con Nbt viene decisa caso per caso. Per esempio, non sono ritenuti Ogm i prodotti ottenuti con tecniche che non inseriscono Dna estraneo. Un regime analogo si applica in Colombia, Cile, Brasile e in altri Paesi del Sud America.

Gli Stati Uniti hanno stabilito, con una comunicazione del Dipartimento dell’agricoltura, che non intendono regolamentare i prodotti agricoli derivanti da Nbt se questi si sarebbero potuti ottenere anche con breeding tradizionale. Sono quindi escluse dalla definizione di Ogm le piante ottenute con cisgenesi o editing genomico, purché non introducano materiale estraneo alla specie (o a specie sessualmente compatibili).

Un dibattito molto acceso

La discussione sulla normativa che disciplina le Nbt è sempre più accesa e vede due schieramenti principali: il primo, portato avanti dalla maggior parte degli organismi scientifici, che non ritiene corretto assimilare le Nbt agli Ogm transgenici, e il secondo, sostenuto soprattutto da organizzazioni ambientaliste, che sostiene il contrario.
Alla base del dibattito c’è una diversa visione sul fatto che sia da regolamentare il processo di produzione (Nbt, mutagenesi, miglioramento tradizionale), piuttosto che il prodotto (di fatto, identico).

I sostenitori delle Nbt evidenziano come, dal punto di vista scientifico, l’assimilazione con gli Ogm transgenici non abbia ragion d’essere, in quanto queste nuove tecnologie possono produrre varietà che potrebbero essere il risultato di mutazioni o di incroci, indistinguibili da quelle derivanti da processi di miglioramento genetico tradizionale.
I contrari, appellandosi al principio di precauzione, sostengono che sia corretto avere una normativa stringente su queste nuove tecnologie di ingegneria genetica, che non sarebbero altro che una nuova forma di Ogm. Le preoccupazioni principali riguardano la potenziale perdita di biodiversità, dovuta alla migliore fitness (successo riproduttivo) delle varietà migliorate, il danno alle coltivazioni tradizionali tipiche del made in Italy e la proprietà intellettuale delle varietà ottenute.

In Italia sono molte le organizzazioni che si stanno muovendo per chiedere all’Europa una modifica della direttiva del 2018. Tra queste, c'è la società italiana di genetica agraria (Siga), che chiede che le Nbt vengano equiparate a livello normativo alle tecniche di mutagenesi, che non devono seguire la normativa relativa agli Ogm.

Un’innovazione democratica

Un aspetto da non sottovalutare delle Nbt è la loro semplicità di utilizzo: si sta parlando di biotecnologie che possono essere applicate anche in piccoli laboratori che non abbiano le risorse di una multinazionale.

In questo senso, le New breeding techniques sono spesso definite un’innovazione democratica, in grado di rendere più semplice la creazione di nuovi prodotti agricoli anche da parte di piccole aziende o start-up innovative, numerose in Europa, che non potrebbero mai sostenere i costi di sviluppo e registrazione di un Ogm.

In un contesto globale in cui la popolazione è in aumento e i cambiamenti climatici mettono a dura prova l’agricoltura tradizionale, lo sviluppo di nuove varietà in grado di adattarsi alle mutate condizioni è un fattore chiave.

E il made in Italy?

Una delle grandi preoccupazioni sullo sviluppo delle Nbt nel nostro Paese è data dall’impatto che potrebbero avere sui prodotti made in Italy, fiore all’occhiello della nostra agricoltura.

A livello scientifico, le nuove biotecnologie potrebbero essere uno strumento molto potente e dinamico per difendere le varietà della nostra tradizione. Infatti, potrebbero modificare solo quei tratti che le rendono poco competitive o suscettibili all’attacco di certi patogeni, senza intaccare la loro unicità. L’innovazione può essere una grande risorsa e, in un mercato in continuo cambiamento, l’unica vera difesa della nostra tradizione.

Il futuro delle Nbt

Quando si parla di sicurezza alimentare è sempre bene essere cauti e valutare ogni aspetto, ponderando ogni scelta. Risulta però indispensabile che alla base delle decisioni non ci sia una cieca paura del nuovo, ma un solido fondamento scientifico, che permetta di stabilire senza pregiudizi il grado di sicurezza di un’innovazione.

Le Nbt, se correttamente regolamentate, possono essere una risorsa preziosa per il settore agroalimentare europeo e italiano. Potrebbero essere il motore per una nuova agricoltura sostenibile, che utilizzi meno risorse e meno fitofarmaci e che si adatti meglio alle richieste dei nuovi consumatori. Conoscere bene queste tecnologie è il primo passo per decidere se siano una risorsa o una minaccia.

Nbt, le prossime frontiere dell’ingegneria genetica - Ultima modifica: 2020-11-24T16:00:58+01:00 da Lucia Berti

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