suoloQuando si parla di agricoltura in coltura protetta, ci si riferisce a un’agricoltura specializzata che ha l’obiettivo di massimizzare la Plv aumentando la produzione in campagna sia a livello qualitativo che a livello quantitativo.
In questo modo l’agricoltore sarà in grado di coprire i costi di produzione (discorso sempre più incalzante in questi tempi, visti i grandi aumenti di materie prime come plastica ed energia) e creare un margine necessario allo sviluppo della propria azienda.
Come in tutte le tipologie colturali, anche in coltura protetta il terreno rappresenta il fattore che domina il processo produttivo. La relativamente breve durata del ciclo produttivo delle orticole e il loro grande fabbisogno di elementi nutritivi prontamente disponibili, la necessità di lavori preparatori e colturali in qualsiasi periodo dell’anno, l’impiego dell’irrigazione, ecc. pongono infatti l’accento su tutti i principi che regolano la fertilità del terreno.
Le colture protette hanno esigenze nettamente diverse da quelle dell’orticoltura di pieno campo. Nel primo caso le colture si succedono a se stesse e richiedono quindi terreni molto fertili e lavorabili in ogni momento; nell’altro, pur essendo inserite nell’ordinaria coltura agraria, necessitano solo di terreni ben preparati e capaci di sostenere produzioni di pregio.
Un approccio scientifico
Ecco perché dobbiamo imparare a conoscere pregi e difetti del terreno. È fondamentale avere un approccio scientifico (contrariamente ad approcci empirici, fondati solo sul “ho sempre fatto così”). Lo si può fare attraverso analisi che mettano in evidenza dati reali su cui costruire una corretta strategia di gestione del suolo.
L’agricoltore deve avere la consapevolezza che l’analisi del terreno (tramite laboratori accreditati) serve a conoscere quei parametri che possano far capire come si comporta il nostro suolo in base agli input che gli diamo, come la nutrizione, le irrigazioni e le lavorazioni.
In coltura protetta tutto viene amplificato, in quanto generalmente si parla di un terreno super sfruttato e che subisce minori rotazioni rispetto a un pieno campo. E soprattutto, otto volte su dieci, non beneficia dell’effetto positivo delle stagioni invernali come pioggia e gelo, poiché il terreno rimane costantemente coperto tutto l’anno.
Troppo compatto
Spesso, in serra, il suolo è oggetto di un numero di lavorazioni annuo, soprattutto volte all’affinamento, nettamente superiore a quanto accade in pieno campo. Questa continua lavorazione porta a una rottura della struttura del suolo, con conseguente aumento della probabilità di compattamento.
La compattazione dei suoli provoca una riduzione del volume dei pori del suolo. Ciò riduce la velocità con cui l’acqua può infiltrarsi e percolare attraverso il terreno. Riduce anche il volume di pori disponibile per l’ossigeno nella zona in cui si sviluppano le radici delle piante. Per questo motivo, alcune delle principali conseguenze della compattazione sono: scarso drenaggio, scarsa aerazione, formazione di una suola di lavorazione e formazione di croste superficiali.
Lavorazioni conservative
Le lavorazioni del suolo in ambiente protetto devono essere di tipo conservativo: le pratiche di aratura o rivoltamento del terreno devono essere ridotte allo stretto necessario, in quanto portano a una maggior esposizione all’ossidazione e quindi alla perdita più rapida di sostanza organica.
L’obiettivo non dev’essere quello di creare una granulometria ultrafine. Bisogna, infatti, rispettare la corretta struttura lasciando una granulometria degli aggregati più grossolana e con un’alta percentuale di aggregati di dimensione compresa tra 1 e 3 mm. Questo a maggior ragione in terreni sotto serra, su cui viene posizionato il film plastico pacciamante. Il film ha i vantaggi di scaldare il suolo, contenere le malerbe ecc. ma ha lo svantaggio di creare una separazione netta con l’ambiente sovrastante.
Questo interrompe il corretto ricircolo di aria e ossigeno compromettendo gli scambi gassosi con l’esterno, che sono essenziali per il corretto funzionamento delle radici assorbenti. I processi di ossidoriduzione necessari – come, per esempio, quelli che rendono l’azoto disponibile per le piante – vengono così rallentati. Con un conseguente minor utilizzo degli stessi concimi che vengono dati alle piante.
Elemento acqua in coltura protetta
È necessario un approccio frazionato sia all’irrigazione (turni più brevi e frequenti anche più volte durante il giorno) sia alla nutrizione. In questo modo, il terreno è in grado di “digerire” meglio quello che riceve aumentandone l’utilizzo da parte delle piante ed evitando sprechi.
La struttura del suolo viene stressata e messa a dura prova anche dall’utilizzo dell’acqua di irrigazione. Diventa fondamentale creare un regime idrico che permetta di avere la corretta umidità nel suolo e cercare di mantenerla in modo costante.
A livello microscopico, i grandi scompensi di umidità asciugano o idratano in fretta le particelle di terreno. Creano così compattamento e compromettono la microporosità, habitat ideale per la crescita dei peli radicali. Questi servono a massimizzare la superficie di contatto suolo-radice (la cosiddetta rizosfera) aumentando la capacità di assorbimento sia di acqua che di elementi nutritivi delle piante.
Inoltre, così come si analizza il suolo, si deve monitorare anche lo stato di salute dell’acqua di irrigazione controllando soprattutto il livello di salinità e il contenuto di sodio in quanto, come già affermato in precedenza, si sta osservando un notevole aumento di questi valori verso livelli che inducono stress alle piante.
Questo anche a causa del riscaldamento globale e della diminuzione dei livelli di falda che concentrano i sali disciolti. Inoltre, l’acqua salata è meno disponibile per la coltura e quindi il volume di adacquamento efficiente risulta essere proporzionalmente inferiore all’aumentare del valore di Ec e di contenuto di sodio.
Una buona analisi...
Ma da dove partire per analizzare correttamente il nostro terreno? Sicuramente una fase cruciale è il prelievo dei campioni unitari che comporranno il campione finale. L’analisi chimica può essere eseguita nel modo più preciso e accurato possibile, ma se il campione portato in laboratorio non è rappresentativo di tutto l’appezzamento di terreno di cui vogliamo conoscere le caratteristiche i risultati delle analisi possono indurre a scelte sbagliate.
I principali fattori che contribuiscono a determinare la rappresentatività del campione sono: la scelta dell’area da campionare, il numero di campioni elementari per ciascun campione composito, la profondità e l’epoca del prelievo.
...parte dal giusto campionamento
L’area da cui prelevare un campione dev’essere soggetta alle stesse pratiche agronomiche, cioè colture o successioni colturali, tipo e profondità delle lavorazioni, fertilizzazioni, irrigazione, ecc., e avere una superficie limitata (meno di 1 ha). Inoltre, qualora vi siano delle zone evidentemente diverse per qualche caratteristica del terreno, come contenuto di scheletro, tessitura, drenaggio, pendenza, esposizione, queste vanno eliminate dal campionamento ed eventualmente campionate a parte.
Allo stesso modo sono da eliminare i bordi dell’area per almeno cinque metri da fossi e capezzagne, cumuli di deiezioni o altri prodotti, e altre zone rimaneggiate.
Quando si parla di serre, generalmente si parla di colture con un apparato radicale stimolato a rimanere in superficie – a maggior ragione se viene utilizzata la pacciamatura – e quindi la profondità di prelievo dovrà campionare lo strato di terreno che va da 5 a 30 cm. In definitiva, si consiglia il prelievo di un campione elementare ogni 1000 mq circa nel caso di terreni a elevata variabilità, riducibili del 30% circa per suoli più omogenei.
La localizzazione dei campioni elementari dev’essere la più casuale possibile e può essere individuata lungo un qualsiasi percorso (a X, W, S o altro) che permetta di interessare tutta la superficie dell’area da campionare. Per evitare l’influenza della fertilizzazione sui risultati analitici è necessario far passare almeno tre mesi dall’ultima concimazione prima di eseguire il prelievo. Per questo, è di maggior praticità il campionamento dopo la raccolta dei prodotti, con l’accortezza di scartare i primi 5 cm.
Cosa monitorare
Quali parametri analitici inserire nell’analisi? Come spesso ricordato, la fertilità agronomica di un terreno è un complesso di fattori che, integrandosi a vicenda, si manifestano nel potenziale produttivo del terreno stesso. La fertilità agronomica di un terreno va esaminata sotto l’aspetto fisico, chimico e microbiologico.
Quando si parla di coltivazione in serra, gli aspetti fondamentali da controllare sono:
- la tessitura, in quanto ci permette di conoscere la struttura del nostro suolo e il comportamento delle radici e dell’acqua di irrigazione
- l’elettro-conducibilità e il sodio. È importante monitorare la salinità nel suolo in quanto è un dato in costante aumento e che per la maggior parte delle colture in serra risulta essere fortemente penalizzante per la produzione.
Ovviamente ci sono anche altri parametri da conoscere, come:
- il contenuto dei macro e meso elementi
- la Csc (capacità di scambio cationico)
- il pH
- il rapporto Mg/K
- il contenuto di sostanza organica
- il contenuto medio di microorganismi per grammo di terreno.
Monitorando questi parametri almeno ogni due/tre anni, ci si può rendere conto se le tecniche utilizzate siano virtuose o stiano portando a un deperimento del nostro terreno.
L'influenza del pH
La reazione del suolo, oltre a influire sul potere assorbente del terreno, è un fattore limitante per lo sviluppo delle colture. Tutte le specie hanno un campo di adattamento al pH del suolo relativamente ampio. Nei terreni minerali i principali nutrienti (azoto, fosforo, potassio, calcio, magnesio, boro e molibdeno) sono maggiormente disponibili quando il pH è compreso tra 6 e 7.
Altri importanti elementi quali zinco, manganese, ferro e rame tendono invece a essere più disponibili quando il pH del suolo è inferiore a 6.5. Ne consegue che, per massimizzare le rese colturali, sarebbe auspicabile operare su un terreno minerale con pH compreso tra 6 e 6.5.
Scambio cationico e saturazione delle basi
La capacità di un suolo di trattenere cationi scambiabili viene misurata e riportata come capacità di scambio cationico (Csc) del suolo. Questo valore è un buon indicatore della fertilità del suolo.
Un buon terreno ha una Csc compresa tra 15 e 30 meq/100 g di terreno. Generalmente i suoli sabbiosi hanno un valore di Csc basso, talvolta anche inferiore a 5 meq/100 g. I suoli con un alto contenuto di argilla o materia organica, invece, hanno maggiori probabilità di avere una Csc alta (anche superiore a 30 meq/100 g).
Il grado di saturazione delle basi (Gsb) di scambio (dei cationi scambiabili cmol+/kg) fornisce un’indicazione di quale proporzione della Csc è occupata da cationi come calcio, magnesio, potassio e sodio (rispettivamente Ca2+, Mg2+, K+ e Na+).
In generale, nei terreni a pH superiore a 8, il valore di Gsb è quasi sempre vicino o pari al 100%, mentre nei terreni sciolti e con pH inferiore a 6 non è insolito trovare valori di Gsb inferiori al 65%, che indicano terreni più acidificati e poveri di basi scambiabili.
I terreni con un Gsb compreso tra il 65 e il 75% manifestano un forte potere tampone verso le variazioni di pH e sono generalmente capaci di neutralizzare in breve tempo sia le cause di acidificazione sia quelle di alcalinizzazione.
I terreni con Gsb inferiore a 50%, presentando un’elevata acidità scambiabile, sono capaci di tamponare solo variazioni di pH verso l’alcalinizzazione, mentre non sono capaci di resistere all’acidificazione.
Al contrario, i terreni con Gsb molto alto (maggiore del 90%), hanno un elevato potere tampone nei confronti degli agenti acidificanti, ma una scarsa o nulla resistenza all’alcalinizzazione. Nei suoli con basso e alto Gsb, quindi, devono essere rispettivamente evitati prodotti acidificanti e alcalinizzanti.
Gli elementi nutritivi: attenzione a fosforo e potassio
La disponibilità di elementi nutritivi è un fattore indispensabile per mantenere elevate le rese. Nella coltura protetta si devono raggiungere alti livelli per assicurare produzioni buone e costanti. L’azoto non è il principale elemento su cui ci si deve concentrare per valutare la qualità del suolo. Piuttosto, devono essere valutati e mantenuti a un buon livello i contenuti di fosforo e potassio disponibili. E poi devono essere tra loro bilanciati i cationi scambiabili e i livelli di microelementi.
Il fosforo (P) prontamente disponibile per le piante può essere ritenuto sufficiente se compreso tra 10 a 20 mg/kg (determinato con il metodo Olsen).
In termini generali, su un suolo di medio impasto, il potassio dovrebbe essere compreso tra 150 e 300 mg/kg, il calcio tra 1000 e 2500 mg/kg e il magnesio >50 mg/kg. Tuttavia, per essere correttamente valutati, questi tre elementi devono essere analizzati in proporzione al valore della Csc.
Gli intervalli ottimali per Ca2+, Mg2+ e K+, come percentuale della Csc, sono rispettivamente 40-70%, 6-12%, 2-5%, mentre la percentuale di Na+ dovrebbe essere inferiore al 5%.
Indipendentemente dal valore assoluto di Ca2+, Mg2+ e K+, al fine di evitare problemi di assimilazione, è bene che queste basi di scambio siano tra loro entro rapporti ben definiti. In particolare, il rapporto Ca/Mg dovrebbe rimanere entro valori compresi tra 8 e 12: valori più alti porterebbero a disequilibrio per eccesso di calcio con manifestazione di deficienze di magnesio, mente valori più bassi potrebbero portare a carenze di calcio. Allo stesso modo è essenziale che il rapporto Mg/K sia compreso tra 2 e 5, dato che valori superiori indicano un eccesso di magnesio nel suolo e possono portare alla manifestazione di carenze di potassio, mentre valori inferiori a 2 possono portare a carenze di magnesio per eccesso di potassio.
La salinità
Gli intervalli ottimali di micronutrienti per le colture orticole sono compresi tra 1-3 mg/kg Zn, 1-5 mg/kg Mn, 10-15 mg/kg Fe, 0.5-1.5 mg/kg Cu, 0.7-1 mg/kg B e 0.11 e 0.2 mg/kg Mo.
I sali solubili vengono valutati attraverso la conducibilità elettrica dell’estratto saturo (Ece) del suolo, che viene misurata in dS/m. 1 dS/m corrisponde a circa 640 mg/kg di sali disciolti in soluzione.
Una Ece inferiore a 1.0 dS/m è generalmente considerata buona, dato che consente alla maggior parte delle piante coltivate di svilupparsi al massimo delle loro potenzialità. Al contrario, un suolo con una Ece superiore a 2.5 dS/m (corrispondente a una concentrazione di sale in soluzione superiore a 1600 mg/kg) non è adatto per buona parte delle colture orticole e può essere coltivato senza incorrere in cali di produzione solo con specie tolleranti.
L’eccessiva fertilizzazione e irrigazione possono sul lungo periodo portare all’accumulo di nutrienti nel suolo e a fenomeni di salinizzazione in corrispondenza dello strato superficiale del suolo, sotto il telo in materiale plastico.
La presenza di salinità in eccesso può influenzare direttamente l’assorbimento dei nutrienti. Per esempio, il sodio (Na+) può ridurre l’assorbimento del potassio (K+) o il cloruro (Cl-) l’assorbimento dei nitrati (NO3-). La salinità può anche causare una combinazione di interazioni complesse che influenzano il metabolismo delle piante, modificando il fabbisogno interno di nutrienti e/o favorendo lo sviluppo di lesioni.
La fertilità microbiologica
Nei suoli in coltura protetta, grazie agli abbondanti apporti di ammendanti organici, la sostanza organica raggiunge spesso quote molto alte (2-2.5%) rispetto alla maggior parte dei terreni agrari. Tuttavia, la qualità organica del suolo dev’essere valutata anche dal punto di vista dell’attività microbiologica.
Si può parlare di raggiunta fertilità microbiologica quando si ottiene un processo equilibrato di trasformazione della sostanza organica nel suolo. In termini numerici, il tasso microbico di un terreno in ottime condizioni di fertilità deve contenere sei milioni di microrganismi per grammo, in gran parte rappresentati da batteri.
In suoli con alti livelli di sostanza organica o da poco ammendati si deve fare attenzione all’uso di prodotti battericidi o batteriostatici, dato che possono portare alla proliferazione di funghi. Anche la coltivazione continua della stessa specie, che è quasi inevitabile in serra, può portare a disequilibri nella popolazione microbica del suolo.
Molte specie orticole, come il pomodoro, il peperone, la melanzana e il cetriolo possono rispondere negativamente alla coltivazione ripetuta sullo stesso terreno. Ciò avviene con lo sviluppo di malattie e forti cali produttivi. Inoltre, in questi casi si riduce la differenziazione dei residui organici e degli essudati radicali rilasciati nel suolo, con il conseguente impoverimento delle comunità di organismi. Questa pressione esercitata sulla comunità di batteri e funghi nel suolo può portare al rilascio di metaboliti secondari potenzialmente tossici quali le micotossine.
Contrastare il calo della fertilità…
Vediamo ora quali possono essere le cause del calo della fertilità dei suoli in coltura protetta. Come anticipato in precedenza, spesso i terreni in serra sono iper-sfruttati: possono subire più cicli di coltivazione durante l’anno e a volte anche della stessa coltura.
Questo porta a un impoverimento esponenziale sia in termini di elementi nutritivi disponibili, sia in termini di biodiversità, in quanto si selezionano man mano microrganismi antagonisti della coltura. Per questo motivo è opportuno intervenire utilizzando ammendanti e concimi organici in modo da cercare di riequilibrare la biodiversità del suolo.
È preferibile utilizzare il meno possibile concimi minerali, che sono causa di aumento di salinità e di sodio, che porta a un maggior compattamento e destrutturazione soprattutto nei terreni argillosi, dove in particolare il sodio è un catione molto aggressivo. Il sodio, infatti, lega in modo irreversibile le argille e rompe i ponti calcio-sostanza organica-argilla. L’elemento compromette la corretta ripartizione tra macro e microporosità e consorzi microbici (come micorrize e trichoderma, oltre ai vari batteri della rizosfera).
In media, in un anno di coltura, in un terreno di medio impasto, con il 3% di sostanza organica stabile e con un coefficiente di mineralizzazione della sostanza organica (K2) del 2%, si perdono all’incirca 3.5 quintali per ettaro di sostanza organica ogni 10 cm di suolo sottoposto a erpicatura e affinamento intenso.
…con gli ammendanti
Per reintegrare queste perdite, soprattutto in coltura protetta dove si deve rimuovere ogni residuo colturale onde evitare l’insorgere di patologie e lo sviluppo di microrganismi antagonisti che si replicano su di essi, non si può far altro che utilizzare ammendanti come letame e digestato secco. Quest’ultimo è ottenuto dalla separazione tra frazione solida e liquida del digestato grezzo.
Letame e digestato secco sono gli unici due elementi nutrizionali che, dati in quantità idonee, cioè intorno ai 300 quintali a ettaro, si trasformano in humus stabile e aumentano la sostanza organica.
Per fare un esempio, interrando 300 quintali di digestato solido, che possiede circa il 20% di sostanza organica e un coefficiente isoumico (K1: cioè quanta sostanza organica stabile si crea da quella matrice) pari al 35% circa, otteniamo circa 20 quintali di sostanza organica. E liberiamo anche circa 100-110 kg per ettaro di azoto (oltre a un pool di nutrienti come fosforo, potassio, magnesio, ecc). Grazie a questo apporto di sostanza organica il saldo con la perdita di sostanza organica sopra descritta è positivo.
Letame e digestato solido intervengono sulla struttura del suolo come nessun altro concime è in grado di fare, rendendola più soffice e arieggiandola. Inoltre, portano con loro un notevole contenuto di microrganismi positivi, gli stessi che hanno creato la fermentazione della matrice organica.
Bisogna però fare attenzione a utilizzare prodotti con almeno un anno di maturazione, in quanto interrare letame o digestato non maturo potrebbe innescare delle reazioni di putrefazione e compromettere così il ciclo di coltivazione.
La distribuzione di ammendante nel periodo invernale aumenta l’umificazione della matrice organica e la creazione di humus stabile, in quanto è un processo favorito dalle basse temperature.