Più serre con il cambiamento climatico

serre e cambiamento climatico
La tropicalizzazione del clima e la domanda di alimenti eco-sostenibili potrebbero orientare la produzione verso le colture protette. Una soluzione per coltivare vicino alle città riducendo lo spreco di acqua e fitofarmaci

L’estensione della superficie protetta è destinata ad aumentare o a ridursi? E i serricoltori dovranno modificare le loro abitudini, diventando più ecosostenibili? Abbiamo chiesto un parere a Matteo Lucchini (nella foto a destra), export manager dell’Idromeccanica Lucchini; una realtà che ha ormai esteso la propria sfera d’azione ben oltre i sistemi irrigui, come lascerebbe credere il nome.

serre e cambiamento climatico
Matteo Lucchini

«Con il cambiamento climatico le serre diventeranno più numerose, essendo in grado di stabilizzare il clima e creare le migliori condizioni per la crescita delle piante».
L’estremizzazione dei fenomeni atmosferici non crea, però, un rischio per le strutture? «Indubbiamente gli episodi più intensi che sfociano in vere calamità naturali non sono contrastabili. Tuttavia, fa parte della proposta della nostra azienda la realizzazione di serre progettate per dare la massima affidabilità contro gli eventi estremi, con costi di manutenzione minimi».
A incrementare la diffusione delle serre potrebbe essere il fatto che i Paesi che hanno già sfruttato il proprio territorio da un punto di vista agricolo dovranno rivolgersi a soluzioni architettoniche che riducano lo spazio necessario per la coltivazione o che proteggano la coltura da un clima sfavorevole o da eventi climatici avversi e inaspettati.
Verso la serra verticale
Il riferimento è al cosiddetto vertical farming, una delle tendenze più discusse per lo sviluppo agricolo a medio termine. «È una grande sfida. Molti i lati positivi, non ultimo quello di consentire un uso dello spazio più efficiente e un dosaggio accurato di acqua e nutrienti. Vi sono tuttavia alcuni scogli da superare, sia di natura progettuale che culturale. Per il primo aspetto, occorre creare un sistema che sia conveniente per tutte le colture e per ogni luogo in cui lo si possa installare. Riguardo alle abitudini di consumo, ricordo che il tipico prodotto di queste serre, soprattutto se si fa coltivazione fuori suolo, è la pianta in vivo. Purtroppo diversi mercati, compreso quello italiano, ancora non la accettano appieno».
Per pianta in vivo si intende la pianta – generalmente a foglia – raccolta con il substrato di coltivazione o, nel caso dell’idroponica, a radice nuda. Un tipo di prodotto cui il consumatore medio non è abituato e che potrebbe faticare ad accogliere. Sbagliando, però: «L’insalata in vivo rimane, appunto, viva più a lungo. Si allunga la shelf life, senza obbligo di consumo immediato, che è uno dei limiti principali della IV gamma».
È insomma qualcosa di completamente nuovo che stravolgerebbe le nostre abitudini, ma con grandi potenzialità nutrizionali – i vegetali più freschi sono più nutrienti – e ambientali. Non solo perché il prodotto durerebbe di più, ma anche per il modo in cui è stato ottenuto.

Le serre e l’ambiente

Un altro grande tema è quello della sostenibilità ambientale. Secondo il nostro interlocutore, la serra è intrinsecamente amica dell’ambiente: «Il risparmio idrico rispetto alle tecniche tradizionali è evidente, con una differenza in fattore 100 tra il campo aperto e la coltivazione protetta».

serre e cambiamento climatico
Un attento controllo dei fattori climatici permette di coltivare ortaggi a ogni latitudine e quasi con qualsiasi clima

C’è però il problema del calore: sebbene le serre nascano per mitigare la temperatura esterna, determinate coltivazioni richiedono il riscaldamento artificiale degli spazi: si deve quindi consumare energia. «Tuttavia, essa può provenire da fonti rinnovabili o, meglio ancora, può essere calore di recupero. Per esempio, si possono abbinare agli impianti serricoli dei bruciatori a biomassa o, in un prossimo futuro, a biometano.
Non dimentichiamo infine il biogas». Che è, con ogni evidenza, uno dei sistemi migliori per riscaldare la serra, dal momento che sfrutta il calore ottenuto dal ciclo di produzione del gas che altrimenti andrebbe sprecato. «Oggi diversi impianti di biogas faticano a essere remunerativi. L’abbinamento con una serra potrebbe essere un aiuto importante. Per quella che è la nostra esperienza, molti casi di successo riguardano aziende che sfruttano biomasse o biogas per riscaldare gli impianti».
Meno diffuso e meno praticabile il geotermico: «Può avere senso se non servono temperature elevate, in quanto il calore ottenibile è inferiore del 60% rispetto a quello di una centrale a biomassa o biogas».
Infine il fotovoltaico: «Ha avuto un’impennata alcuni anni fa, soprattutto grazie agli incentivi, ma al momento è stato un po’ messo da parte. Potrebbe tornare di moda se si perfezionasse la tecnologia delle batterie ad accumulo, per sfruttare nelle ore notturne l’energia prodotta di giorno».
Un altro elemento da considerare è la domanda di prodotti a chilometro zero. «Se dovesse continuare a crescere, come tutto lascia pensare, è evidente che la serra sarebbe una risposta importante, permettendo di coltivare in ogni zona del Paese, con ogni clima, in aree fortemente urbanizzate e metropolitane». In questo caso, evidentemente, ricorrendo alla già citata serra verticale. «Con una serricoltura ben fatta, il km zero non è utopia: c’è la reale possibilità di produrre cibi di alta qualità praticamente sotto casa».
Infine, fa notare Lucchini, la serra è sostenibile ambientalmente in quanto permette di dosare con molta più precisione fertilizzanti ed eventuali prodotti fitosanitari, evitando qualsiasi tipo di spreco. «Voglio però ricordare anche un altro fattore: la sostenibilità sociale. La coltivazione in serra crea un’offerta di lavoro altamente qualificato, diverso da quello dell’orticoltura tradizionale. Non servono solo operai generici, ma anche tecnici con competenze di informatica, matematica e chimica».

Sempre più tecnologia

Da semplice tunnel protetto, la serra si è progressivamente trasformata in un concentrato di tecnologia. «Questo aspetto è diventato centrale nel nostro lavoro. Le serre tendono verso i sistemi chiusi, dove entra il seme ed esce il prodotto finito. Temperatura e umidità relativa sono il primo livello di controllo; vengono poi la quantità e la qualità della luce solare, e già qui le cose si complicano. Entrambe possono essere modulate tramite teli plastici più o meno trasparenti alle radiazioni solari di nostro interesse, oppure con mezzi meccanici, per esempio quelli occlusivi».

serre e cambiamento climatico

Di certo la tecnologia per la serra ha fatto passi da gigante, al punto che oggi una struttura che impiegasse tutte le migliori soluzioni sarebbe quasi autonoma. L’acqua, per esempio, è controllata da computer e sistemi di distribuzione che permettono una regolazione pressoché totale. «Sono macchine in grado di gestire le varie situazioni di bisogno idrico e nutrizionale, che possono variare a seconda dello stadio vegetativo o delle condizioni climatiche. Inoltre – ricorda Lucchini – la serra permette di recuperare le acque di irrigazione, con ulteriori benefici ambientali: è possibile risparmiare fino al 30% di acqua miscelando, dopo opportuna filtrazione, l’acqua recuperata con quella di primo impiego. Se infine, come accade sempre più spesso, si creano bacini per la raccolta delle acque piovane a fianco delle serre, la sostenibilità ambientale aumenta ulteriormente».
L’offerta è insomma quasi infinita. Resta però il fattore economico: ha senso investire in tutta questa tecnologia? In altre parole, cosa consiglierebbe Matteo Lucchini a un ipotetico imprenditore che dovesse realizzare una nuova serra? «Stiamo parlando di un investimento a lungo termine, con una durata d’uso importante, tale da permettere anche successivi upgrade tecnologici. Per questo motivo, il mio consiglio è di partire con una serra che sia orientata al futuro e permetta un’eventuale crescita tecnologica e delle modifiche alla strategia produttiva. Detto ciò, la scelta tra una serra hi-tech o low-tech dipende dalla strategia di coltivazione che si intende adottare e dal mercato su cui ci si focalizza: si vuol fare monocoltura o diversificare? Per un mercato su piccola o larga scala? Fermo restando che sono le condizioni del mercato a dettare legge, credo che sia comunque il caso di puntare sulla tecnologia, budget permettendo. Questo, almeno, per la struttura. Per quanto riguarda la tecnologia interna, diciamo che oggi ci sono diverse possibilità, anche per sui costi. Al limite è sempre possibile orientarsi su una soluzione modulare, da implementare via via nel tempo con successive dotazioni tecnologiche». •

Più serre con il cambiamento climatico - Ultima modifica: 2020-01-21T09:35:33+01:00 da Lucia Berti

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome