La possibilità di realizzare missioni spaziali di lunga durata e la permanenza dell’uomo a bordo di piattaforme spaziali orbitanti o in colonie planetarie su Luna o su Marte dipenderanno dalla realizzazione di ecosistemi artificiali, in grado di realizzare le condizioni necessarie alla sopravvivenza nello Spazio.
In questi sistemi, detti sistemi biorigenerativi di supporto alla vita, le piante assumeranno un ruolo centrale. Rigenereranno infatti l’aria grazie alla fotosintesi, purificheranno l’acqua attraverso la traspirazione e produrranno cibo fresco, anche riutilizzando scarti organici dell’equipaggio.
Da oltre 20 anni, un gruppo di ricerca del Dipartimento di agraria dell’Università degli studi di Napoli è impegnato in progetti dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) e dell’Agenzia spaziale europea (Esa) per la coltivazione di piante in sistemi di controllo ambientale biorigenerativo per il supporto alla vita nello Spazio.
Piante essenziali nello spazio
I programmi internazionali di esplorazione spaziale prevedono missioni di durata sempre maggiore. Tuttavia, la permanenza prolungata dell’uomo nello spazio implica problematiche di tipo tecnico-ingegneristico, di approvvigionamento delle risorse e di salute per gli astronauti.
Per esempio, in missioni di lunga durata non è possibile rifornire interamente dalla Terra le risorse necessarie (es. cibo, acqua e ossigeno). Pertanto le lunghe permanenze su piattaforme spaziali e le missioni interplanetarie dipenderanno dallo sviluppo di sistemi in grado di rigenerare in continuo le risorse.
I sistemi biorigenerativi (Bioregenerative life support systems o Blss) sono sistemi che realizzano processi fondamentali alla vita dell’uomo nello spazio Questi progetti riguardano lo sviluppo di ossigeno, la rimozione di anidride carbonica e la depurazione dell’acqua, attraverso l’impiego di biorigeneratori.
Nei Blss sono assemblati organismi opportunamente selezionati, compresi batteri, alghe e piante superiori. Vengono assemblati in fasi consecutive di riciclo, per convertire gli scarti e i rifiuti organici dell’equipaggio in ossigeno, acqua potabile e biomassa edibile.
In tale contesto, le piante superiori rappresentano un ottimo strumento per rigenerare l’aria mediante l’assorbimento di CO2 e l’emissione di O2 nella fotosintesi, per purificare l’acqua mediante la traspirazione e riciclare materiale di scarto attraverso la nutrizione, fornendo allo stesso tempo cibo fresco per integrare la dieta e benessere fisico e psicologico agli astronauti.
La ricerca per lo spazio
Il team UniNa, composto dalle autrici, insieme a Giovanna Aronne, Veronica De Micco, Carmen Arena, Youssef Rouphael e Antonio Pannico, da oltre 20 anni studia aspetti biologici, agronomici e ambientali relativi alla coltivazione delle piante nello spazio.
Le ricerche riguardano la selezione di specie e cultivar candidate, la gestione della nutrizione idrica e minerale nei sistemi idroponici, l’effetto dei fattori spaziali sulla crescita e sulla riproduzione delle piante, il controllo ambientale nelle camere di crescita, le interazioni delle piante con microrganismi benefici e composti biostimolanti.
A questi argomenti si aggiungono gli aspetti nutrizionali dell’introduzione di vegetali freschi nella dieta degli astronauti.
Le risposte delle piante sono studiate in presenza di microgravità reale o simulata e di radiazioni spaziali simulate. Inoltre, i diversi vincoli alla crescita vegetale imposti dall’ambiente spaziale sono analizzati nell’ottica del completamento del ciclo seed (o tuber)-to-food e della progettazione di sistemi modulari per la coltivazione nello spazio.
A partire dal 2009, il gruppo di ricerca è coinvolto nel programma Esa Melissa - Micro-ecological life support system alternative, che ha l’obiettivo di realizzare un ecosistema artificiale basato su microrganismi e piante superiori per la rigenerazione delle risorse in missioni spaziali a lungo termine con equipaggio (per approfondire: https://bit.ly/3sYMbW0).
Inoltre, dal 2013 il team UniNa è partner ufficiale del consorzio Melissa, costituito da organizzazioni indipendenti nei settori della ricerca e dell’industria spaziale (università, centri di ricerca, piccole e medie imprese, industrie leader).
Le camere di crescita
Affinché le piante possano assolvere in modo efficiente alle funzioni descritte, diventando rigeneratori efficienti, è necessario che siano allevate in opportune condizioni ambientali (per es. intensità luminosa, concentrazione di CO2, temperatura e umidità relativa) e colturali (per es. nutrizione idrica e minerale).
Pertanto, gli esperimenti finalizzati alla realizzazione di Blss, sono condotti in camere di crescita equipaggiate di sistemi per il preciso controllo di tali parametri. Nel corso delle prove sono stati definiti i valori dei parametri ambientali e i protocolli di coltivazione per le diverse specie candidate. Questi si ritengono ottimali quando sono in grado di determinare nelle diverse colture una crescita rapida e uniforme e rese produttive elevate, minimizzando gli scarti della coltivazione.
La caratterizzazione del comportamento delle piante nello specifico ambiente di coltivazione è, inoltre, indispensabile per determinare gli input necessari alla crescita vegetale (energia, acqua, nutrienti, CO2) e prevedere i tempi e le dinamiche di produzione degli output del sistema (acqua, O2, biomassa edibile e scarti).
Sono stati progettati numerosi modelli di camera di crescita per la ricerca spaziale. Tra i più sofisticati per gli esperimenti sulla Terra c’è anche l’Higher plant chamber (Hpc) del Melissa pilot plant (Mpp) dell’Esa, presso l’Università autonoma di Barcellona (Spagna).
Monitoraggio e controllo ambientale
L’Mpp è un laboratorio dedicato alla realizzazione su scala pilota di un circuito chiuso di biorigeneratori, attraverso la connessione di diversi bioreattori. Tra questi è fondamentale l’Hpc, una camera a tenuta stagna, dotata di un sistema idroponico chiuso ed equipaggiata per la misurazione precisa di acqua, sostanze nutritive e scambi gassosi, in un ambiente completamente controllato (Figura 1).
Recentemente, nell’ambito del progetto Esa - Pilot plant compartment IVb: air & canopy sub-compartment analysis (Acsa) i ricercatori di UniNa hanno contribuito all’aggiornamento del sistema di controllo climatico, e in particolare del sistema di illuminazione della Hpc.
Con riferimento alle camere di crescita, attualmente il gruppo è coinvolto nel progetto Esa Plant characterization unit for closed life support system - engineering, manufacturing and testing (PacMan), basato sulla necessità di misurare tutte le variabili necessarie alla modellizzazione del comportamento delle piante superiori nell’ottica dell’integrazione del “compartimento piante” nei Blss.
Questa implica l’utilizzo di un ambiente con sistemi precisi di monitoraggio e di controllo ambientale. In questo ambito è stata realizzata la Plant characterization unit (Pcu), una camera di crescita completamente sigillata, dotata di un sistema idroponico a circuito chiuso e di accurati sistemi di rilevamento e controllo climatico (Figura 2).
La Pcu è alloggiata in un laboratorio dedicato alla ricerca sulle piante per lo spazio inaugurato nel novembre 2019 presso il Dipartimento di agraria dell’università di Napoli.
Patate in microgravità
Dall’anno 2015, il team partecipa anche al progetto Esa Precursor of food production unit (Pfpu), per la realizzazione del prototipo di un sistema modulare per la coltivazione di specie tuberose (patata e patata dolce) in microgravità, da testare a bordo della Stazione spaziale internazionale (Iss) (Figura 3).
Dopo le fasi di progettazione, realizzazione e collaudo sulla Terra, il prototipo del modulo di coltivazione verrà spostato sulla Iss per convalidare le osservazioni in condizioni spaziali.
Riutilizzo delle risorse
Dal 2019, il team UniNa coordina il progetto Asi Rebus - In-situ resource bio-utilization for life support system. È un programma di ricerca nazionale che coinvolge università, istituti di ricerca e partner industriali.
Il progetto è finalizzato allo sviluppo di un Blss basato sull’uso di piante e microrganismi decompositori per massimizzare l’uso di risorse in situ e il riciclo di materiale organico di scarto della missione.
I suoli planetari (regoliti lunari e marziane) sono utilizzati come substrato di coltivazione e i rifiuti della missione (residui di coltivazione, feci e urine) come ammendanti, fertilizzanti o biostimolanti, per produrre vegetali freschi.
Tra questi sono inclusi anche prodotti funzionali innovativi (es. microgreens), come contromisura a malattie degenerative indotte da fattori spaziali (es. radiazione cosmica).
I microortaggi
La coltivazione dei microortaggi ha destato molto interesse nella ricerca degli ultimi anni. In questa ottica si svolge il progetto “Sistemi e tecnologie per la produzione di microortaggi nello spazio” ‘Microgreens x Microgravity’ (Microx2) finanziato con il fondo indiviso assegnato dal Ministero della ricerca e coordinato da Asi, del quale il team UniNa ha la responsabilità scientifica.
Il progetto ha l’obiettivo di un apparato di volo per la produzione di piante edibili per l’integrazione della dieta degli astronauti con prodotti freschi ricchi di sostanze con valore nutrizionale e nutraceutico.
I microortaggi sono piantine giovani e tenere di specie orticole, erbacee, aromatiche o di spontanee edibili. Si raccolgono da una a tre settimane dopo la semina, quando i cotiledoni sono completamente espansi ed è presente la prima coppia di foglie vere (Figura in alto).
I genotipi destinati alla produzione di microortaggi sono in continuo aumento e la selezione è basata principalmente sulle caratteristiche nutraceutiche e sull’appetibilità.
Attualmente, le specie più utilizzate appartengono alle seguenti famiglie: Brassicaceae, Asteraceae, Chenopodiaceae, Lamiaceae, Apiaceae, Amarillydaceae, Amaranthaceae e Cucurbitaceae. Rispetto agli ortaggi della stessa specie raccolti a maturazione commerciale, i microortaggi contengono quantità più elevate di fitonutrienti (acido ascorbico, beta-carotene, alfa-tocoferolo e fillochinone) e minerali (Ca, Mg, Fe, Mn, Zn, Se e Mo) e un più basso contenuto in nitrati. Studi preliminari saranno condotti on-ground in camere di crescita per formulare protocolli per la produzione in orbita di microortaggi e definire i requisiti dell’apparato di volo.
Per concludere
In conclusione, l’intensa ricerca svolta nell’ambito della biologia vegetale spaziale dimostra che le piante superiori sono in grado di adattarsi alle condizioni di vita nello Spazio e ad assolvere funzioni indispensabili alla sopravvivenza dell’uomo. Tuttavia, le informazioni sugli effetti di lungo termine dei fattori spaziali sui processi vegetali fondamentali sono ancora limitate. Per questo servono ulteriori ricerche nell’ottica dell’inserimento nei sistemi biorigenerativi e del necessario sviluppo tecnologico.
Le autrici sono del Dipartimento di Agraria, Università degli studi di Napoli Federico II
Contributo realizzato a cura della sezione Ortoflorovivaismo della Soi