Melone biologico, le tecniche e gli ausiliari

melone
Melone Majus.
Si deve avere sempre tutto sotto controllo. Il monitoraggio gioca un ruolo di primo piano per risultati positivi

L’evoluzione tecnica, l’aumento della disponibilità di strumenti per il controllo biologico, conoscenze ed esperienze agronomiche ben riuscite, hanno fatto sì che la coltivazione del melone in serra per le aziende biologiche campane sia diventata una realtà.
Abbiamo seguito l’esperienza di due aziende certificate: Salvatore D’Ambrosio a Succivo (Ce), che ha coltivato il retato italiano cantalupo classico denominato Mayus e l’azienda Dario Lanaro in provincia di Salerno, che ha coltivato la tipologia Charantes retato denominato Kabayon.
Entrambe già da diverso tempo hanno introdotto questa cucurbitacea nella successione colturale, seppur con diverse tipologie di melone, diversa natura del terreno ma identico periodo di coltivazione ed identica tecnica di difesa.
Subito dopo aver scelto il terreno, valutandone la vocazione e la successione colturale, la scelta delle varietà di melone è il primo passo da compiere con attenzione.
Guardando sempre alle esigenze del mercato è importante, se non fondamentale, per le aziende biologiche, cercare varietà che abbiano nel loro patrimonio genetico alcune caratteristiche:
– resistenza agli afidi e all’oidio;
– resistenza al Fusarium spp;
– predisposizione genetica
ad avere un buon sapore nel contenuto di zuccheri ma soprattutto nell’aroma.
Tutto questo nel rispetto della disciplina comunitaria obbliga le aziende ad utilizzare solo seme certificato biologico.
Dopo la scelta della varietà, la corretta gestione della pianta inizia dal vivaio o dalla fase di pre-trapianto con l’inoculo di due microrganismi utili: i batteri Streptomyces griseoviridis, per la difesa da Fusarium oxysporum ed altri patogeni del suolo, e le endomicorrize, del genere Glomus intraradices, per agevolare lo sviluppo delle radici e far avvolgere le stesse da un reticolo di filamenti che, oltre a difenderle occupando spazio vitale, creano anche le condizioni per un maggiore ed equilibrato sviluppo, migliorando l’assimilazione di macro e micro elementi e non ultimo creare un ambiente adatto alla flora bicrobica nella rizosfera.
Dall’inoculo
alla scopertura
Questo inoculo, in vivaio, è effettuato con una semplice fertirrigazione nella fase fenologica di prima foglia vera dopo le due cotiledonali. La piantina, quindi, ha emesso già un buon numero di radici e resta ancora abbastanza tempo in vivaio per completare l’opera di colonizzazione.
L’altra modalità è l’immersione in pre-trapianto delle piantine ancora negli alveoli di polistirolo in una soluzione acquosa di S. griseovirides e G. intraradices.
Con questo sistema tutte le piantine sono inoculate con un alto numero di microrganismi.
Le piantine, una volta trapiantate, si coprono con un ulteriore tunnellino formato da archetti in ferro leggero largo circa un metro e alto 50 cm, coperto da tessuto non tessuto, un materiale leggero, traspirante e con una buona capacità coibendante.
Le piante di melone si liberano dai tunnellini dopo circa 40 giorni. Il periodo può mutare in funzione delle condizioni climatiche e dalla fioritura di fiori femminili.

Leggi l’articolo completo su Colture Protette n. 10/2016  L’Edicola di Colture Protette

Melone biologico, le tecniche e gli ausiliari - Ultima modifica: 2016-09-28T11:12:18+02:00 da Lucia Berti

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