Tra le tecnologie utilizzate per migliorare gli standard quali-quantitativi delle produzioni quella del fuori suolo è utilizzata soprattutto nel settore floricolo; nella provincia napoletana la rosa è una delle specie che maggiormente si è avvantaggiata di questa soluzione.
I motivi che hanno spinto vecchi e nuovi rosicoltori a perseguire la strada della coltivazione “fuori suolo” sono molteplici: elevare la quantità e la qualità delle produzioni, ridurre i costi delle tradizionali pratiche colturali al terreno (preparazione, disinfestazione, ecc.), praticare la monocoltura, non più sostenibile nei terreni stanchi della provincia napoletana.
La diffusione
La diffusione della coltivazione fuori suolo per la rosa è legato soprattutto all’incremento produttivo (+30-35%) e all’ottima adattabilità alla nuova soluzione poiché applicando una corretta potatura, finalizzata alla formazione del “polmone verde”, è possibile conseguire risultati tecnico-economici di rilievo. Resta, tuttavia, la difficoltà di produrre rose a bocciolo grande di elevata qualità nel periodo estivo, per le alte temperature che talvolta si registrano.
Dopo il boom dei primi anni 2000, da qualche tempo non si registrano più nuovi impianti, poiché i maggiori costi di realizzazione e gestione della coltivazione non sono adeguatamente compensati dai prezzi di vendita, piuttosto stazionari. Tuttavia, tra le specie floricole la rosa resta la più diffusamente coltivata con questa tecnica.
L’impianto
La prima scelta che il floricoltore si trova ad affrontare riguarda i contenitori.
Dopo una prima fase di studio, tutti i rosicoltori si sono orientati verso l’utilizzo di canalette in polipropilene alveolato di colore nero. I contenitori hanno un’altezza di 25 cm e sono larghi 40 cm, in modo da poter ospitare due file di piante, mentre la lunghezza dipende dalla configurazione delle serre. Una soluzione meno praticata è quella della fila singola, nel qual caso la larghezza della canaletta si riduce a 25 cm.
Le canalette sono sostenute da supporti metallici (generalmente tondini con diametro di 8 mm) piegati e posizionati ad “U” rovesciata ed intervallati di 50-60 cm secondo la densità del substrato e che sono fissati al terreno essendo provvisti di un lato più lungo di una decina di centimetri.
Per garantire l’allontanamento rapido della soluzione in eccesso, per evitare l’elevato tasso igrometrico nell’ambiente protetto e/o la formazione di alghe che possono provocare intasamenti, è indispensabile livellare perfettamente il terreno e dotarlo di una pendenza longitudinale adeguata (0,4-0,6%).
Le canalette vanno orientate in direzione nord-sud (con l’asse longitudinale delle serre orientato in direzione est-ovest) e la presenza della pendenza e di fori, praticati sullo spigolo esterno delle canalette ad una distanza di 10-15 cm l’uno dall’altro, garantisce il deflusso della soluzione nutritiva e l’allontanamento dell’eccesso della stessa, che finisce in una canalina di sgrondo, sempre in polipropilene, ma di grandezza inferiore.
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