La rucola selvatica si coltiva nella Piana del Sele da circa 20 anni. Questa fertile pianura che si affaccia sul golfo di Salerno è oggi il più importante polo europeo per la produzione di ortaggi a foglia destinati alla IV gamma, un settore che negli ultimi 10 anni è cresciuto del +376% (dal 2002 al 2012). A seguito di questa spinta, si è assistito a un aumento costante delle strutture serricole specializzate per la coltivazione di baby leaf, che oggi superano i 5mila ettari di superficie coperta.
Oltre la metà è dedicata alla produzione di rucola selvatica (Diplotaxis tenuifolia), che trova nel territorio salernitano le migliori condizioni di crescita. Infatti, tra tutte le baby leaf, la rucola selvatica è quella che ama maggiormente il caldo. Ecco perché la sua produzione è diventata strategica soprattutto nel periodo invernale, quando non è possibile coltivarla nel Centro e Nord Europa, e anche nelle aree di produzione del Nord Italia incontra difficoltà nello sviluppo a causa del freddo e della scarsità di luce.
Un territorio vocato
La Piana del Sele è un territorio unico, dove l’agricoltura viene praticata fin da tempi antichi. Il clima è umido e gli inverni sono miti, a causa del volano termico garantito dal mar Tirreno che bagna la costa ovest (dal quale salgono le correnti umide verso l’interno) e dalla barriera montuosa a nord e a est, che protegge la pianura dall’ingresso dei venti freddi provenienti dai Balcani.
I terreni sono prevalentemente di origine alluvionale, generatisi dalle alluvioni del fiume Sele, e beneficiano degli apporti di lapillo depositato nelle epoche passate dalle eruzioni del vicino Vesuvio.
La Diplotaxis è intimante legata a questo territorio, tanto che recentemente è diventata un prodotto Igp. Nel 2019 è stata finalmente richiesta l’Indicazione geografica protetta, ad agosto 2020 è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale europea la domanda di registrazione per il marchio Igp, e a novembre 2020 è stata approvata e registrata, tramite pubblicazione del regolamento di decisione della Commissione europea.
Le tecniche colturali
La tecnica colturale delle Diplotaxis, e delle baby leaf in genere, è caratterizzata dalla spinta meccanizzazione di tutti i processi, che iniziano con la semina diretta e terminano con la raccolta meccanica. Può essere così schematizzata:
- dissodamento del terreno;
- preparazione del letto di semina con formazione delle aiuole;
- semina con seminatrici portate di precisione;
- irrigazioni e fertirrigazioni per aspersione;
- trattamenti fitosanitari con barra o con testa a cannone;
- raccolta con raccoglitrici semoventi;
- immediata refrigerazione e trasporto in piattaforma.
Le strutture della Piana del Sele sono concepite per la meccanizzane di tutte le fasi. Le serre sono dei gruppi multi-tunnel e la larghezza del singolo tunnel è generalmente di 7,20 - 9 metri.
L’impianto di microirrigazione per aspersione è sospeso, posizionato in maniera da consentire agevolmente il passaggio delle macchine.
La Rucola in Piana del Sele si coltiva tutto l’anno, ma il ciclo colturale più significativo è quello delle “semine stabili” effettuate a ottobre, che permangono fino a marzo, dalle quali si ottengono 4-6 sfalci. La rucola ha una spiccata attitudine a ricacciare e gli sfalci successivi al primo sono ancora più apprezzati sul mercato perché si accentuano alcune caratteristiche come la frastagliatura della foglia e il tipico sapore piccante.
La semina
La semina è una operazione fondamentale. In particolare, è importante scegliere la corretta densità di semina, che localmente si aggira in media sulle 1.500 piante per metro quadro. Semine troppo fitte sono la causa dei seguenti inconvenienti:
- foglie chiare e ingiallimenti basali;
- ridotta serbevolezza;
- accumulo di nitrati;
- maggiore incidenza delle malattie fungine quali sclerotinia e peronospora, nonché della batteriosi causata da Xanthomonas campestris pv. campestris;
- necessità di aumentare il numero dei trattamenti fitosanitari, con maggiore presenza di residui da sostanze attive di agrofarmaci.
Evitare gli eccessi
Per ottenere una rucola di qualità nella Piana del Sele è necessario evitare gli eccessi, con particolare riferimento a determinate forme di azoto, quali l’ureico e l’ammoniacale. Bisogna ridurre al minimo le irrigazioni, per aumentare la pregevolezza del prodotto (foglia scura, sapore piccante, consistenza e conservabilità).
Un aspetto critico è che l’irrigazione applicata per aspersione sovrachioma è il principale fattore che predispone agli attacchi di peronospora, ecco perché è necessario irrigare al mattino e far sì che le foglie si presentino asciutte a fine giornata.
Malattie, patogeni e difesa
Tra le principali malattie che colpiscono la rucola nella Piana del Sele, ricordiamo il marciume nero delle brassicacee (Xanthomonas campestris pv. campestris). L’infezione può provenire dal seme e poi propagarsi tramite le ferite da taglio, ecco perché è fondamentale disinfettare le lame per prevenire la sua diffusione.
Poi c’è la peronospora (Hyaloperonospora parasitica). Per contrastarla è fondamentale gestire le irrigazioni, non apportando mai acqua durante la sera.
Per ultimo ricordiamo il marciume del colletto causato da Sclerotinia spp, contro cui è importante gestire i residui colturali, attuare delle solarizzazioni e un buono schema di rotazioni.
I principali agenti di danno nel territorio sono: le altiche, molto voraci nel periodo estivo; la tignola del cavolo (Plutella xylostella), molto aggressiva in primavera e in autunno; Spodoptera littoralis, molto dannosa da luglio a novembre; gli afidi (Lipaphis erysimi), di solito dannosi da novembre a marzo, ma possono essere presenti tutto l’anno con l’esclusione delle settimane invernali più fredde.
I punti di forza
La produzione di rucola nella Piana del Sele presenta diversi pregi. Il primo carattere distintivo è dato dalla qualità intrinseca, ma accanto a questo ci sono fattori altrettanto importanti e decisivi, garantiti da una classe imprenditoriale dinamica e da un alto livello di specializzazione delle figure tecniche.
Tutte le aziende produttrici di IV gamma aderiscono a una o più certificazioni volontarie (Global Gap, Leaf Marque, Field to Fork, Tesco Nurture, ecc.), che garantiscono elevati standard in termini di sicurezza alimentare, oltre che il rispetto di disciplinari di produzione sempre più restrettivi, con l’aggiunta delle limitazioni imposte dalla gdo in termini di restrizioni nel numero di residui di agrofarmaci. Inoltre, va ricordata l’attenzione nella programmazione delle produzioni, nella logistica, il rispetto della catena del freddo e il controllo qualità con tecnologie sempre più sofisticate.
Le limitazioni degli agrofarmaci
Ci sono alcuni aspetti critici che vanno gestiti nella produzione di rucola, prima tra tutti la questione delle limitazioni imposte sui residui degli agrofarmaci. Molti operatori della gdo, in particolare in Austria e Germania, impongono una limitazione nel numero di molecole utilizzabili. Lo standard più diffuso prevede massimo 5 principi attivi rilevabili. Questo può essere limitante, perché in alcuni periodi dell’anno vanno affrontati contemporaneamente le malattie fungine (come peronospora e sclerotinia) e altri agenti di danno, come nottue e afidi.
Ciò spinge il produttore a reiterare l’uso di poche sostanze attive, andando in contrasto con la buona pratica agricola che prevede la messa in atto di strategie atte a prevenire fenomeni di resistenza. Ai rappresentati della gdo andrebbe fatto notare che la stessa Direttiva europea 128/2009 (del 21-102009) al punto 7 dell’allegato III recita che: «Ove il rischio di resistenza a una misura fitosanitaria sia conosciuto e il livello di organismi nocivi richieda trattamenti ripetuti di pesticidi sulla coltura, le strategie anti-resistenza disponibili dovrebbero essere messe in atto per mantenere l’efficacia dei prodotti. Ciò può includere l’utilizzo di diversi pesticidi con diversi modi di azione».
Il contenuto di nitrati
Un’altra questione è quella dei nitrati. La rucola ha la naturale tendenza ad accumularli, tanto che può facilmente raggiungere e superare i limiti di legge (6.000 ppm in estate e 7.000 in inverno). Per avere pochi nitrati è necessaria la luce solare, che permette alla pianta di metabolizzarli grazie all’enzima nitrato-reduttasi. Dunque va verificata la trasparenza del film plastico di copertura, che potrebbe essere reso opaco da residui degli ombreggi estivi se non opportunamente rimossi.
Vanno evitati gli stress idrici e nutrizionali. Le concimazioni devono essere equilibrate, perchè togliere del tutto i nitrati non garantisce residui bassi nel prodotto, anzi, in alcuni casi si è osservato un maggiore accumulo. Una pratica utile è quella di interrare sostanza organica o di attuare sovesci con un rapporto C/N maggiore di 12. Ovviamente anche la fittezza di semina è importante: semine troppo fitte daranno produzioni con nitrati più alti, perché le piante soffriranno di auto-ombreggiamento.
Il futuro della rucola
Dal lato del prodotto, la rucola vede un’attenzione crescente verso le proprietà nutraceutiche. In campo, invece, si tende all’impiego di macchine elettriche per la raccolta e di tecnologie sempre più sofisticate: stazioni di rilevamento dei dati climatici, sistemi Dss, sensoristica utile a ottenere foglie della stessa lunghezza, selettori ottici in magazzino capaci di individuare corpi estranei... concludendosi con catene del freddo sempre più evolute e monitorate, anche dopo la spedizione dei prodotti.