La coltivazione di ortive in serra è in continua espansione in Italia (circa 33mila ha, di cui 2.900 ha fuori suolo), Spagna (circa 60mila ha, dei quali 3mila ha senza suolo), Turchia, Egitto e altri Paesi mediterranei. Conseguentemente, si pone un problema di sostenibilità dei processi produttivi e valutazione degli impatti reali sull’ambiente.
Questi temi sono stati trattati nel webinar “Gestione efficiente della pratica irrigua e riutilizzo delle acque reflue in ambiente mediterraneo: il progetto IR2MA”. L'evento è stato organizzato dall'Ispa-Cnr di Bari nell'ambito del progetto Interreg Grecia-Italia IR2MA, incentrato sull'utilizzo di sensori per una gestione efficiente dell'acqua e sull'irrigazione sostenibile.
I vantaggi dei sensori
«La misurazione continua di umidità e salinità del substrato è un approccio promettente. Applicandolo, è possibile incrementare la sostenibilità e la redditività delle colture di serra» ha introdotto Francesco Montesano, ricercatore dell’Ispa-Cnr di Bari.
«Il principio alla base dell’impiego di sensori di umidità del suolo per il controllo dell’irrigazione è semplice. I sensori misurano le variazioni di umidità causate dall'assorbimento radicale e dall’evaporazione. Quando l’umidità del substrato scende sotto un set-point predeterminato, possono comandare l’apertura delle valvole di irrigazione».
I vantaggi dell'utilizzo dei sensori sono notevoli:
- controllo ottimale delle condizioni di disponibilità idrica del substrato;
- prevenzione delle condizioni di stress da carenza o eccesso idrico, che porta a migliori risultati produttivi;
- approvvigionamento idrico basato sulle reali esigenze delle piante;
- utilizzo razionale della risorsa idrica;
- controllo ottimale della lisciviazione e del drenaggio;
- riduzione dell’impatto ambientale;
- miglioramento della qualità dei prodotti (stress “controllato”);
- risparmio del consumo di acqua e fertilizzanti;
- in sostanza, profitti maggiori.
La sperimentazione
«All’interno del progetto IR2MA sono state svolte diverse attività basate sull’utilizzo di sensori» ha aggiunto Montesano. «Abbiamo svolto attività di ricerca applicata per quantificare il potenziale risparmio idrico per colture in serra di interesse mediterraneo, per individuare i set-point irrigui e le strategie ottimali di impiego dei sensori in termini di risposta produttiva, qualità ed efficienza d’uso dell’acqua».
«Dai nostri risultati si evince che la gestione irrigua tramite sensori, rispetto a quella gestita con un timer, consente un risparmio idrico del 38% su basilico, del 36% su fagiolino e del 58% su pomodoro ciliegino. Il tutto senza effetti negativi sulla produzione, anzi: si è verificato un miglioramento generale della qualità. Inoltre, l'efficienza d’uso dell’acqua è incrementata rispettivamente del +128%, del +70% e del +73%».
«Inoltre, è stato realizzato un prototipo per l'irrigazione automatica basata su sensori ed è stata compiuta una notevole attività dimostrativa basata su test in serre commerciali» ha concluso il ricercatore.
L'impiego delle acque reflue in serra
«Alla gestione efficiente della pratica irrigua può contribuire l’impiego di acque reflue depurate, purché la qualità degli effluenti sia adatta ai fini del riutilizzo irriguo» ha sottolineato Alfieri Pollice, ricercatore dell’Istituto di ricerca sulle acque (Irsa) del Cnr di Bari.
«Le acque trattate e riutilizzabili a scopo irriguo sono preziose per la disponibilità continua, la salvaguardia delle risorse naturali e la presenza di nutrienti. Tuttavia, presentano dei rischi potenziali per la sicurezza microbiologica, gli effetti di lungo periodo sui suoli, l’eutrofizzazione dei bacini di stoccaggio».
«La normativa nazionale e quella regionale pugliese – ha continuato Pollice – adottano un principio di massima cautela mediante l’imposizione di limiti qualitativi molto stringenti. Il Reg. Ue 2020/741 adotta un approccio basato sulla valutazione e gestione del rischio, le cui modalità di attuazione sono in fase di definizione. L’adeguamento della normativa nazionale al regolamento europeo potrebbe offrire opportunità di regolamentazione delle procedure di gestione della filiera, favorendo una maggiore diffusione del riuso».
Acque reflue per gli ortaggi, un caso studio
«Le acque reflue depurate sono un’utile fonte per l’irrigazione delle piante dato che il volume disponibile è poco influenzato dalla variabilità delle condizioni climatiche e dalla siccità» ha concordato Angelo Parente, ricercatore dell’Ispa-Cnr di Bari.
«La presenza di elementi nutritivi le rende ideali per la coltivazione di vegetali. Infatti, la dotazione di elementi minerali può contribuire a ridurre le quantità di fertilizzanti di sintesi utilizzate. Ma non bisogna trascurare possibili pericoli a essi legati per la presenza di metalli pesanti, di patogeni (batteri, virus, protozoi, elminti) dannosi per la salute dell’uomo e di contaminanti, come residui di medicinali».
A tal proposito, nell’ambito del progetto IR2MA l’Ispa-Cnr ha realizzato presso l’azienda sperimentale “La Noria” di Mola di Bari una prova di coltivazione in floating system di tre specie da foglia (lattuga, mizuna e rucola). I ricercatori hanno messo a confronto una soluzione nutritiva con acqua piovana e una con acqua reflua depurata caratterizzata da pH 7,6 e conducibilità elettrica (Ec) pari a 1876 μS/cm, oltre a tracce (<0,03 ppm) di metalli pesanti (Al, Ag, Ba, Pb).
«L’uso di acque reflue depurate per la preparazione della soluzione nutritiva – ha informato Parente – ha consentito di ottenere risultati sovrapponibili, in termini quantitativi e qualitativi, a quelli ottenuti con acqua piovana. Così, consente di ridurre l’utilizzazione di acqua di buona qualità e di fertilizzanti».
«Dal punto di vista microbiologico i valori riscontrati non sono risultati significativamente differenti fra i due tipi di acqua utilizzata e in linea con quelli di vegetali per il consumo fresco. Tuttavia, nell’utilizzo di acque reflue depurate bisogna porre molta attenzione alla possibile contaminazione biologica o chimica dei prodotti, in particolar modo quando destinati al consumo fresco».