«La scelta del substrato va valutata tenendo conto di una serie di variabili: organizzazione aziendale, tipo di coltivazione, possibilità di approvvigionamento, aspetti economici, tecnologie disponibili».
È quanto ci dice Antonio Valitutto che con il fratello Gerardo e la sorella Iolanda conduce una delle più grandi aziende italiane dedite alla coltivazione di fragolina. L’azienda Valitutto si estende su una superficie di 9 ettari tutti coperti con serre, di cui 5 destinati alla coltivazione di fragoline e il restante coltivate con fragole, lamponi e more, tutti con la tecnica del “fuori suolo”.
«La scelta del substrato più adatto riveste un ruolo determinante per ottenere performances produttive ottimali. Nel corso degli anni ho provato diverse soluzioni utilizzando sia substrati inerti sia organici, da soli o in miscela, fino ad orientarmi verso la fibra di cocco che ritengo sia il substrato migliore per la mia azienda».
La pomice
Il primo substrato provato nell’azienda Valitutto è stata la pomice, che veniva acquistata prima in Campania e poi in Toscana.
«Si tratta di un substrato inerte ottimo ed economicamente favorevole – spiega Valitutto–. Tuttavia, la pomice ha una densità piuttosto elevata, se confrontata con altri substrati, per cui la movimentazione in azienda non è agevole e richiede un discreto impegno di manodopera che incide in maniera non trascurabile sul costo di produzione complessivo».
Questo substrato presenta un vantaggio rispetto agli altri che è quello di avere una durata molto lunga.
«Effettivamente la pomice potrebbe essere usata per periodi molto lunghi purché si provveda, ogni 2-3 anni, a lavarla e disinfettarla. Eppure l’onere necessario per questa operazione, in considerazione del peso specifico del materiale, non rende conveniente optare per questa scelta».
Inoltre, va considerata la scarsa ritenzione idrica che impone l’impiego di maggiori volumi fertirrigui con relativo aggravio dei costi di produzione.
«Per ovviare a questo problema, si potrebbe aggiungere alla pomice un 30-40% di un substrato organico (torba o fibra di cocco); queste miscele sono certamente migliori anche rispetto alla sola torba o alla sola fibra di cocco. Tuttavia, va considerato il costo di questa operazione e il fatto che in questo modo la pomice perderebbe la sua più importante caratteristica che è quella della lunga durata».
La torba
Un’altra soluzione possibile è quella del ricorso alla torba.
«Si tratta di un substrato organico che se di buona qualità è ottimo per il “fuori suolo”, precisa l’imprenditore. Il costo, però, è pressoché il doppio della pomice e pari a quello della fibra di cocco rispetto alla quale non presenta le stesse caratteristiche di stabilità nel tempo».
Altro aspetto da tenere in conto è la capacità per l’aria, determinante per molte specie coltivate.
«Tutti i substrati inizialmente rispondono bene alla capacità per l’aria che si attesta intorno al 30%. Con il passare del tempo, però, questa capacità si riduce ed ho costatato che diminuisce maggiormente per la torba rispetto alla fibra di cocco».
L’aggiunta di pomice alla fibra di cocco, nella misura di un 20-25%, migliora notevolmente la situazione.
«Chiaramente questa operazione non è possibile quando il substrato è già confezionato in sacchi pronti all’uso. Quando la fibra di cocco viene acquistata sfusa, per le colture che vanno allevate in vaso come il lampone e le more, procedo ad effettuare la miscelazione aggiungendo la pomice con i vantaggi già menzionati».
La perlite
Un altro substrato inerte che Antonio Valitutto ha provato è la perlite.
«Si tratta di un substrato eccellente, anche se un po’ costoso, che però trova la giusta applicazione nel caso di aziende dotate di tecnologie avanzate. Infatti, a differenza dei substrati organici, lascia pochi margini di errore nella gestione della fertirrigazione».
Per un periodo l’azienda Valitutto ha optato per la perlite, anche perché è possibile acquistare il prodotto già insaccato mentre la pomice viene venduta sfusa.
«A conti fatti, però, la perlite costava troppo e sono ritornato alla pomice tentando anche una diversa soluzione: ho utilizzato il substrato in vaso. I risultati non sono stati ottimali sia perché era necessario impiegare più soluzione nutritiva sia perché l’impiego dei vasi presuppone una climatizzazione perfetta dell’ambiente protetto. Infatti, la coltivazione in vaso richiede maggiori interventi di difesa dalla muffa grigia poiché si creano le condizioni ottimali per lo sviluppo del fungo».
Nei vasi, inoltre, c’è la crescita di erbe infestanti che richiedono un’ulteriore operazione di pulizia.
«Va evidenziato, però, che l’impiego del vaso consente un migliore sgrondo dell’acqua e, di conseguenza, una migliore aerazione del substrato, indipendentemente da quale sia il materiale scelto».
Substrati, quale scegliere?
La scelta dei substrati va fatta secondo le esigenze aziendali tenendo conto della specie coltivata e dell’organizzazione interna