Vertical farm, il (falso?) dilemma tra genetica e tecnologia

vertical farm
Le prime esperienze di ricerca dimostrano che la risposta è a portata di mano. I due termini a confronto alla fiera NovelFarm a Pordenone il 15 e 16 febbraio

Quasi tutte le colture che oggi utilizziamo sono state addomesticate nel corso degli ultimi 13.000 anni. 

I nostri antenati hanno utilizzato vari metodi per selezionare alcune piante selvatiche, dando origine a varietà molto diverse.

I tratti selezionati sono stati principalmente la produttività e la qualità, ma negli ultimi tempi anche la facilità di raccolta, a discapito della capacità di competere con altre specie, resistere ai predatori e diffondersi nell'ambiente.

De novo domestication e rewilding

È curioso notare che i geni responsabili di queste caratteristiche sono gli stessi o molto simili in quasi tutte le piante coltivate. Questo ha portato alla definizione di "sindrome da domesticazione" per indicare la presenza simultanea di queste caratteristiche selezionate. Gli agronomi e i genetisti ritengono che la de novo domestication e il rewilding siano due strumenti fondamentali per affrontare le sfide della produzione primaria di cibo in un mondo a popolazione crescente e con scarsità di nuove terre da mettere a coltura, senza distruggere ulteriormente gli habitat.

Con la prima è possibile, attraverso le Nbt (New breeding techniques), partire di nuovo dalle forme selvatiche delle colture attuali o di altre specie strettamente imparentate, agendo sul complesso dei geni della domesticazione e non toccando altri geni che esprimono qualità interessanti, per esempio la resistenza a parassiti o a stress ambientali. Con la seconda si fa il contrario: si parte dalla varietà coltivata e si riattivano i geni delle varietà selvatiche che servono (un esempio è la resistenza alle acque saline).

Varietà apposite per le vertical farm

Resta comunque la possibilità di attivare geni, o disattivarne altri, che codificano proprietà interessanti. Per esempio, avere agrumi che producono una maggior quantità di antiossidanti.

Se si passa al vertical farming, ci troviamo di fronte a un ambiente di coltivazione nuovo: assenza di suolo, fertilizzazione e irrigazione integrate, controllo totale sulle condizioni ambientali, struttura multipiano ad alta densità. Ma anche maggiori requisiti in conto capitale e di consumo di energia. Diversi scienziati e operatori ritengono che questa diversità con il campo aperto, ma anche con la serra low-tech classica, richieda varietà vegetali che si adattino e ne valorizzino appieno le possibilità.

Su questo ci sono diverse esperienze, tra cui quella di un team di ricercatori statunitensi che ha utilizzato la tecnica Crispr-Cas9 per modificare l'espressione di alcuni geni del pomodoro a grappolo. Questo ha permesso ai frutti di crescere vicini, simili all'uva, rendendo le piante più compatte e semplificando la raccolta.

Modifiche simili sono state fatte anche con metodi tradizionali, ma con l'utilizzo delle Nbt i tempi necessari sono drasticamente ridotti da decenni a pochi giorni.

Nuove tecnologie

Ci sono scienziati e operatori che ritengono, invece, che la coltivazione delle varietà attuali potrebbe essere resa più produttiva ed economica attraverso il vertical farming, grazie all'utilizzo di tecnologie avanzate. Queste includono l'ottimizzazione dell'illuminazione, la fertirrigazione di precisione, i robot per la raccolta e il monitoraggio attraverso l'intelligenza artificiale.

Una società tedesca utilizza la nebbioponica (fogponics) invece di immergere le radici nell'acqua o della tecnica aeroponica che richiede la spruzzatura delle piante una per volta. La nebbioponica crea una nuvola di goccioline sottili che avvolge le piante, offrendo benefici di termoregolazione e riducendo i costi di coltivazione..

Un altro caso è quello della fotosintesi artificiale. L’anno scorso un team di studiosi ha fatto una scoperta interessante. Usando un’apparecchiatura alimentata da pannelli fotovoltaici, ha sintetizzato l’acetato, la prima sostanza intermedia che le piante produce nella catena della fotosintesi. I vegetali nutriti con l’acetato crescono normalmente anche nella totale oscurità. Quindi, l'ipotesi è che una vertical farm potrebbe non essere illuminata e produrre ugualmente. Il problema è che i vegetali sarebbero bianchi o comunque molto sbiaditi rispetto al colore naturale, perché i geni della colorazione sono attivati dalla luce. Nulla vieta di giungere a un compromesso: luce sufficiente a ottenere il colore, per il resto del tempo buio pesto.

Un binomio risolvibile

Forse le due opzioni, ovvero la modifica delle piante e l'introduzione di tecnologie, non si escludono a vicenda. Come è accaduto con il grano, in cui l'altezza è stata ridotta per agevolare la raccolta meccanica. Ad esempio, nel caso del pomodoro-uva, un robot potrebbe raccogliere i frutti su più livelli in uno spazio ristretto, in modo più veloce e sicuro.

NovelFarm a Pordenone il 15 e 16 febbraio

Di tutto questo si parlerà con l’intervento di alcuni dei maggiori esperti del settore a NovelFarm, l’unica manifestazione del Sud Europa interamente dedicata alle coltivazioni fuorisuolo e al vertical farming. L’evento si svolge il 15 e 16 febbraio a Pordenone Fiere e all'inaugurazione sarà presente, nella mattinata del 15 febbraio, il ministro dell’Agricoltura, Sovranità Alimentare e Foreste Francesco Lollobrigida.

Vertical farm, il (falso?) dilemma tra genetica e tecnologia - Ultima modifica: 2023-02-14T16:27:57+01:00 da Colture Protette

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome