La Soi premia i giovani ricercatori

giovani ricercatori Soi 2020
Trapianto delle plantule di lattuga nel sistema idroponico su piccola scala per confrontare gli effetti sulla crescita vegetale di diverse soluzioni nutritive a concentrazione crescente dei nutrienti
Salgono sul podio le pubblicazioni inerenti all’acquaponica, alla biofortificazione fuori suolo e alla riduzione dell’impatto ambientale delle produzioni

Come ogni anno, la sezione Ortoflorovivaismo della Soi (Società di ortoflorofrutticoltura italiana) premia i giovani ricercatori che hanno prodotto le migliori pubblicazioni scientifiche nel biennio 2018 e 2019. I premi sono dedicati alla memoria del professor Giuseppe La Malfa.

Il presidente e professore Massimo Tagliavini ha annunciato i nomi dei vincitori durante l’assemblea annuale dei soci Soi. Durante l'evento, ha inoltre ribadito l’impegno nel promuovere la qualità della ricerca scientifica e la crescita di una nuova generazione di ricercatori. Non a caso, i candidati al premio Soi devono avere un’età inferiore ai 35 anni nell’anno di pubblicazione del lavoro sottoposto alla valutazione. Di seguito sono riportati i nominativi dei giovani ricercatori vincitori del premio Soi 2020 della sezione Ortoflorovivaismo e una breve descrizione degli studi.

La Soi ha assegnato i premi in base a:

  • originalità e aspetti innovativi dello studio,
  • rigore metodologico,
  • rilevanza delle ricerche per il comparto ortofloricolo,
  • collocazione editoriale della rivista scientifica.

Primo premio all’acquaponica

Roberta Calone, dottoranda dell’Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, ha vinto il primo premio Soi 2020 dedicato ai giovani ricercatori. Il suo studio si intitola Improving water management in European catfish recirculating aquaculture systems through catfish-lettuce aquaponics (Migliorare la gestione dell’acqua nei sistemi di acquacoltura a ricircolo di pesce gatto europeo attraverso l’acquaponica con pesce gatto e lattuga).

Tale lavoro ha misurato i volumi d’acqua impiegati per l’allevamento nei sistemi di acquacoltura a ricircolo intensivo (Ras) di pesce gatto europeo (Silurus glanis). Inoltre, ha confrontato le performance produttive, l’efficienza d’uso dell’acqua e dell’azoto di lattuga prodotta in acquaponica e in idroponica convenzionale. Infine, ha proposto un modello per combinare l’allevamento di pesce gatto e la coltivazione idroponica di lattuga in un unico sistema integrato acquaponico.

giovani ricercatori Soi 2020
Piante di lattuga prossime alla raccolta

Questo studio si inserisce nel corrente contesto di cambiamento climatico e rapida crescita demografica, considerando che l’acquacoltura svolge un ruolo importante per la sicurezza alimentare, l’occupazione e lo sviluppo economico. In tale contesto, i Ras consentono di recuperare e riutilizzare gli effluenti ittici ottimizzando i consumi idrici e riducendo l’impatto sull’ambiente rispetto ai sistemi di acquacoltura tradizionale.

Pertanto, l’idea dello studio parte dal presupposto che la sostenibilità dei Ras può essere ulteriormente migliorata attraverso l’acquaponica. Quest'ultima è un sistema produttivo circolare che recupera le acque reflue per la coltivazione idroponica di vegetali e successivamente le riutilizza per l’allevamento di pesce.

Le conclusioni dello studio vincitore del premio Soi 2020

Dallo studio è emerso che il Ras ha un consumo idrico giornaliero di 555 litri. Di questi, 32 litri sono persi per evaporazione dalle vasche e 460 sono scartati come acque reflue. La resa, l’efficienza d’uso dell’acqua e dell’azoto in lattuga coltivata in acquaponica sono stati circa il 20% in meno rispetto a quelli ottenuti in idroponica. Non sono emerse differenze in termini di consumi idrici, con un consumo medio giornaliero di acqua per cespo di 46 ml in entrambi i sistemi.

Le differenze di resa osservate potrebbero essere imputate a uno squilibrio della soluzione nutritiva. Infatti, nelle acque provenienti dall’allevamento ittico sono state rilevate concentrazioni eccessive di bicarbonato e sodio e carenze di ammonio, fosforo, potassio, ferro e manganese, dato il loro basso contenuto nel mangime utilizzato per i pesci. Una parte di questi elementi, inoltre, potrebbe essere precipitata sotto forma di sali, diventando indisponibile per l’assorbimento radicale. Oppure potrebbe essere stata consumata dalle comunità batteriche normalmente presenti nelle acque reflue.

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Cicoria baby leaf coltivata in floating system. A sinistra il controllo, a destra la tesi Si+NaCl

Considerando l’attuale produttività annuale del Ras di 329 kg, un sistema idroponico a vasche con una superficie di 10 mq che ospiti 160 lattughe con un ricambio mensile dei cespi soddisferebbe adeguatamente la necessità di filtrazione del refluo ittico. Consentirebbe inoltre il mantenimento ottimale della qualità dell’acqua di allevamento.

Una volta chiuso il circuito tra le due sotto-unità produttive, l’attuale ingresso giornaliero d’acqua di 532 litri potrebbe essere ridotto alla quantità necessaria per sostituire l’acqua persa per evaporazione (50 litri al giorno). Le perdite idriche verrebbero ridotte da 555 a 103 litri al giorno. L’impianto idroponico così dimensionato permetterebbe una resa annua di 1920 piante, pari a circa 177 kg.

Al secondo posto, la biofortificazione

Sul secondo gradino del podio del premio Soi dedicato ai giovani ricercatori è salito Massimiliano D’Imperio, del Consiglio nazionale ricerche - Istituto di Scienze delle produzioni alimentari.

Il suo progetto di ricerca è intitolato NaCl stress enhances silicon tissues enrichment of hydroponic baby-leaf chicory under biofortification process (Lo stress causato da NaCl migliora l’arricchimento in silicio dei tessuti di cicoria baby leaf idroponica durante il processo di biofortificazione). L’obiettivo è stato quello di valutare l’effetto dello stress salino sull’arricchimento tissutale di silicio (biofortificazione con silicio) della cicoria baby leaf coltivata in floating system.

L’idea dello studio è nata dalla considerazione che integrazione di silicio nella soluzione nutritiva rappresenta un potenziale strumento per i coltivatori per migliorare la tolleranza delle piante a diversi stress biotici e abiotici, tra cui lo stress salino. Sono state confrontate 4 combinazioni di livelli di silicio e cloruro di sodio (NaCl) nella soluzione nutritiva: 0 mM Si e 0 mM NaCl (controllo); 3,6 Si e 0 NaCl (Si); 0 Si e 50 NaCl (NaCl); 3,6 Si e 50 NaCl (Si+NaCl).

Le evidenze dello studio secondo classificato al premio Soi 2020

Il silicio, in combinazione con lo stress salino, ha migliorato l’arricchimento tissutale rispetto alla biofortificazione in condizioni di controllo (11,4 vs 3,06 mg/100g di peso fresco, rispettivamente), migliorando anche i parametri cromatici della cicoria.

Il maggior contenuto di silicio bioaccessibile è stato registrato nella cicoria alimentata con una soluzione nutritiva contenente 3,6 mM di Si e 50 mM di NaCl. Inoltre, il contenuto di nitrati - parametro importante per la sicurezza alimentare delle baby leaf - non è stato influenzato né dalla salinità né dal silicio, mentre il contenuto di ossalato è risultato estremamente basso in tutti i trattamenti.

L’aggiunta di silicio non è stata in grado di contrastare l’effetto negativo dello stress salino sulla crescita delle piante. Tuttavia, la crescita della pianta e la resa inferiore osservate sono state controbilanciate dal maggior valore nutrizionale dell’ortaggio.

giovani ricercatori Soi 2020
In conclusione, la presenza combinata di silicio e cloruro di sodio non ha compromesso il valore nutrizionale della cicoria biofortificata. Pertanto, l’applicazione dello stress salino può essere considerata una strategia efficace per migliorare la biofortificazione in silicio della cicoria.

Questo studio conferma come la coltivazione fuori suolo sia un versatile strumento per ottenere verdure biofortificate, da inserire nel concetto di alimenti su misura (tailored food), ossia cibi calibrati per soddisfare i bisogni nutrizionali di specifici gruppi della popolazione.

Si tratta di un concetto che attualmente rappresenta una frontiera emergente nel comparto orticolo e i sistemi di coltivazione senza suolo sono particolarmente adatti allo scopo. Questo perchè consentono di gestire in maniera precisa e appropriata la nutrizione delle piante, modulando l’accumulo di elementi minerali utili per la salute umana o, eventualmente, dannosi in soggetti con specifiche dismetabolie.

Medaglia di bronzo all’analisi della sostenibilità

Domenico Ronga, ricercatore del Dipartimento di Scienze della vita dell’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, si è aggiudicato il terzo premio del concorso. Il suo studio si intitola Carbon footprint and energetic analysis of tomato production in the organic vs the conventional cropping systems in Southern Italy (Impronta di carbonio e analisi energetica della produzione di pomodoro nei sistemi colturali biologici vs convenzionali nel Sud Italia). Ha riguardato la valutazione degli impatti ambientali della coltivazione del pomodoro da industria in regime biologico e in integrato. In particolare, il ricercatore ha valutato l'impronta carbonica in termini di kg di anidride carbonica equivalente e i consumi energetici in termini di MJ.

A tale scopo sono state effettuate indagini per tre stagioni di crescita, al fine di poter compare al meglio i due sistemi produttivi. Di conseguenza, un ulteriore obiettivo è stato quello di mettere in evidenza le tecniche agronomiche che possono contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale della coltivazione del pomodoro da industria nei due sistemi.

La ricerca è stata condotta in due aziende agricole situate a Battipaglia (Sa), nella Piana del Sele. Le aziende presentavano caratteristiche pedologiche e climatiche molto simili. Le migliori tecniche agronomiche per la gestione in biologico e in integrato sono state applicate nel rispetto dei rispettivi disciplinari. Sei moderne cultivar, comunemente usate nell’Italia meridionale, sono state trapiantate a fila binata i primi di maggio con una densità di 3 piante per mq.

La concimazione ha previsto la somministrazione delle stesse unità fertilizzanti nei due sistemi; in particolare sono state utilizzate 150 unità di azoto per ettaro. L’irrigazione è stata effettuata utilizzando manichette autocompensanti e i volumi irrigui calcolati sull’evapotraspirato registrato quotidianamente. Tutte le operazioni colturali sono state registrate metodicamente e alla raccolta sono stati valutati i principali parametri produttivi e qualitativi e calcolati gli impatti ambientali.

Le conclusioni dello studio classificatosi terzo al premio Soi 2020

Nei tre anni di sperimentazione l’impronta carbonica è stata in media maggiore del 22% nel sistema biologico rispetto all’integrato per tonnellata di pomodoro fresco raccolto. D’altro canto, l’impronta carbonica registrata nel sistema biologico è stata, in media, inferiore del 40% rispetto all’integrato, se si considera un ettaro di coltivazione. Un simile impatto è stato registrato per i consumi energetici. Il sistema biologico, rispetto all’integrato, ha evidenziato un impatto maggiore (+28%) per tonnellata di pomodoro fresco raccolto e un impatto minore (-38%) per ettaro.

Le applicazioni degli agrofarmaci e le lavorazioni del suolo sono state le operazioni maggiormente impattanti sia in termini di impronta carbonica che di consumi energetici, in entrambi i sistemi investigati. Le differenze degli impatti osservati tra i due sistemi produttivi sono state ascrivibili principalmente alle rese produttive dei due sistemi. La resa è stata inferiore nel sistema biologico rispetto all’integrato (in media del 50%).

Pertanto, la sfida da affrontare nella coltivazione biologica del pomodoro da industria è la riduzione del divario produttivo rispetto all’integrato. Divario produttivo che potrà essere ridotto solo attraverso un approccio multidisciplinare: con l’impiego di cultivar adatte alla coltivazione in biologico e tecniche agronomiche innovative, anche con approcci di agricoltura digitale e di precisione.

La Soi premia i giovani ricercatori - Ultima modifica: 2020-10-08T08:35:11+02:00 da Lucia Berti

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