Preparazione ed esperienza

preparazione coltivazione fuori suolo
Interno di una delle serre tunnel in ferro-plastica dell’azienda Facchini.
Per Pietro Facchini e Antonio Lapietra la coltivazione fuori suolo va affrontata con misurato senso pratico e la consapevolezza che è persino più facile della produzione su terreno

Sottovalutare la tecnica di coltivazione fuori suolo e affrontarla impreparati, certamente no. Ma neanche sopravvalutarla e rinunciare a intraprenderla a priori per paura di sbagliare. È con queste convinzioni che due orticoltori pugliesi, Pietro Facchini e Antonio Lapietra, si sono avvicinati all’innovativa tecnica colturale mettendola al centro della propria attività imprenditoriale. Il primo ne è stato audace precursore in Puglia, il secondo continuatore di una consolidata tradizione familiare. Ma entrambi credono fortemente nel fuori suolo, vissuto con misurato senso pratico e con la consapevolezza che è persino più facile che produrre su terreno.

Senza improvvisare

Per Facchini, che a Giovinazzo (Ba) coltiva 9 ha a pomodoro da mensa, anguria e zucchino fuori suolo, «chiunque può cominciare da zero, purché non pretenda di improvvisare e si prepari adeguatamente. Io mi sono avvicinato al fuori suolo per “estensione” del lavoro nelle serre di mio padre Antonio, ma ricco di una solida formazione su riviste tecniche e libri specializzati.

preparazione coltivazione fuori suolo
Pietro Facchini

Nel 1997, fresco di laurea in Scienze agrarie e voglioso di tradurre in pratica i miei studi, ho intrapreso la strada innovativa del fuori suolo, fino allora in Puglia sperimentata rudimentalmente solo per la coltivazione di fiori nella vicina Terlizzi. Mi sono cimentato con la nuova tecnica spinto dall’esigenza di trovare un’alternativa alla disponibilità di acqua, prelevata dai pozzi dell’entroterra barese fra Giovinazzo e Molfetta, troppo dolce e non in grado di aiutare a produrre un pomodoro sapido e, quindi, più apprezzato dal mercato. Limite che ho infatti risolto mettendo a punto una soluzione nutritiva adeguata, opportunità consentitami solo dal fuori suolo».
Facchini è partito coltivando, su 1.000 m² di una serra tunnel già esistente, pomodoro da mensa insalataro della tipologia Camone a ciclo primaverile-estivo, ottimo per quantità, qualità e rusticità.

L’inizio

«All’inizio ho trapiantato le piantine di pomodoro in vasi dal diametro di 26 cm, contenenti il substrato allora più facile da trovare, la pomice, e dotati di punto goccia. Dapprima mi sono fatto seguire nella preparazione della soluzione nutritiva da un agronomo esperto di fuori suolo, poi ho imparato a fare da me. I primi pomodori hanno riscosso notevole apprezzamento, così ho aumentato la superficie fuori suolo a 1.500 m², trapiantando le piantine sempre in vaso con pomice. I successivi e continui ottimi risultati produttivi e commerciali mi hanno spinto ad accrescere gradualmente la superficie investita, realizzando moderne serre tunnel in ferro-plastica.

preparazione coltivazione fuori suolo
Facchini coltiva le ortive su perlite, substrato leggero e facile da trasportare, movimentare e gestire.

Dopo i primi 4-5 anni ho sostituito i vasi di pomice con pani di perlite, che preferisco e utilizzo tuttora perché molto leggeri e facilmente trasportabili e gestibili, nonché smaltibili, quando li dismetto, con estrema semplicità. Poi, visti i favorevoli esiti raggiunti con il pomodoro a ciclo primaverile-estivo, ho diversificato coltivando, nello stesso ciclo, lo zucchino “verde scuro lungo” e l’anguria tipo Dumara ed estendendo la coltivazione di pomodoro, non solo insalataro ma anche“rosso a grappolo, anche al ciclo estivo-autunnale».

Senso pratico

Sia per la ormai ventennale esperienza sia per una questione di formazione culturale e carattere, Facchini si confronta ogni giorno con la tecnica colturale legata al fuori suolo con misurato senso pratico.

«A mio avviso il fuori suolo non presenta grossi problemi. O, meglio, i problemi ci stanno: ma basta individuarli e poi sono facilmente superabili. Ad esempio, spesso si dice che la preparazione della soluzione nutritiva è l’operazione più importante dell’azienda fuori suolo, ma secondo me si esagera, la si mitizza troppo. Basta miscelare nella giusta proporzione i vari elementi nutritivi e rispettare i parametri di pH e conducibilità elettrica. In fondo la concimazione fra pomodoro, zucchino e anguria non cambia molto, anche se, a larghe linee, la soluzione nutritiva per le solanacee presenta alcune differenze rispetto a quella per le cucurbitacee».

Meno problemi

Facchini non solo sostiene che coltivare fuori suolo non è difficile ma aggiunge che è persino più facile che produrre nel terreno. «Nella preparazione della soluzione nutritiva è di sicuro un vantaggio non dover effettuare le preventive analisi del terreno. Inoltre, l’assenza del terreno agevola la difesa fitosanitaria perché l’agricoltore non deve combattere insetti, funghi e nematodi che passano qualche fase del loro ciclo biologico proprio nel terreno. È anche per questo che le piante fuori suolo sono più sane e robuste, senza dimenticare che la nutrizione mirata ed equilibrata, in cui macro e microelementi sono tutti forniti nella giusta proporzione, le rende sicuramente più vigorose. A me bastano pochissimi trattamenti per risolvere i problemi fitosanitari, come un solo trattamento radicale per evitare attacchi di Tuta absoluta. E poiché come orticoltore punto non solo ad aumentare i ricavi ma anche, e prima, a ridurre i costi, tengo in conto anche questo, fra i numerosi vantaggi che il fuori suolo mi offre».

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I “motori” dell’azienda Facchini sono i banchi di fertirrigazione.

Sebbene Facchini viva la gestione del fuori suolo con estrema semplicità, non trascura di considerare i banchi di fertirrigazione come i centri nevralgici dell’azienda. «I banchi di fertirrigazione sono i “motori” dell’azienda fuori suolo, perciò ho scelto i migliori sul mercato, tutti di marca olandese perché l’Olanda è leader al mondo nelle coltivazioni fuori suolo. I miei banchi sono tutti informatizzati e in rete fra loro, perciò riesco a gestirli con ponti wireless da qualsiasi punto fuori dell’azienda, da casa mia e da altrove, persino dall’estero. Per ogni problema l’impianto va in allarme e mi invia una segnalazione sul cellulare: così lo tengo costantemente sotto controllo. Il banco di fertirrigazione è uno dei più grossi investimenti che deve sostenere chi voglia produrre fuori suolo: gli altri sono le serre, il substrato, l’impianto di fertirrigazione. A mio avviso quello degli investimenti iniziali è l’unico “punto debole” del fuori suolo, ma, una volta effettuati, i risultati produttivi ripagano bene degli sforzi anticipati».

L’esperienza

Lapietra, che a Monopoli (Ba) coltiva un ettaro a pomodoro ramato o rosso a grappolo ma punta a breve a triplicare tale superficie, ha la fortuna di avere alle spalle una famiglia di orticoltori molto esperti di fuori suolo.

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Antonio Lapietra.

«Mio padre Giovanni, eccellente produttore di cetriolo per tutto l’anno, mi ha instradato al fuori suolo, gli zii Pasquale e Vincenzo, altrettanto ottimi produttori, per 12 mesi all’anno, di cetriolo e di varie tipologie di pomodoro da mensa, mi hanno dato preziosi consigli e aperto i loro canali commerciali. Aiuti non da poco, ma senza la mia buona volontà non sarei andato da nessuna parte. Dopo il diploma di perito agrario ho fatto due anni di pratica attiva nelle serre di papà e degli zii, ho seguito un corso biennale, organizzato da Università e Ispa-Cnr di Bari, che mi ha formato come “Tecnico esperto nella produzione e nel controllo dei prodotti in ambiente protetto”, ho lavorato come tecnico responsabile di un’azienda di produzione di pomodoro fuori suolo a Bellinzona, in Svizzera. Così mi sono formato unendo elevata professionalità tecnica e mentalità imprenditoriale innovativa».

La serra

Arrivato il momento di mettersi in proprio, Lapietra ha realizzato una serra moderna e ampia un ettaro grazie alla concessione, da parte del Psr 2007-2013, del 30% a fondo perduto sul finanziamento chiesto e di un tasso agevolato sul restante 70%. «Ho optato per una serra in ferro-plastica a campata multipla, costituita da 10 campate adibite alla coltivazione di pomodoro più un’undicesima occupata dagli uffici, dai servizi, dall’impianto a osmosi inversa e da quello di fertirrigazione. Per il fuori suolo ho scelto la lana di roccia, per me il migliore substrato in assoluto, insuperabile per qualità. È inerte, non rilascia niente nella soluzione nutritiva e da essa non assorbe alcun elemento, inoltre garantisce una produzione maggiore e di qualità più elevata. Sopporto ogni anno un notevole costo per smaltire le lastre vecchie, ritirate da un’azienda specializzata di Taranto smaltimento, e sostituirle con altre nuove, ma è un costo ben compensato dalla loro ottima qualità. Su ogni lastra, lunga 2 m, posiziono 5 piantine, a distanza di 40 cm l’una dall’altra. Così ottengo una densità media di 3 piante/m², che mi fa coltivare nella serra quasi 30.000 piante».

Fertirrigazione

Anche per Lapietra centro nevralgico dell’azienda è l’impianto di irrigazione e fertirrigazione, «con il quale irrigo e nutro le piante controllando continuamente la conducibilità elettrica e il pH sia della soluzione nutritiva in entrata sia del drenato. È un impianto a ciclo aperto, utilizzo il drenato per fertilizzare altre produzioni in pieno campo e il giardino; ma diventerà a ciclo chiuso appena installerò l’impianto di disinfettazione del drenato.

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Canalette che ospitano le lastre di lana di roccia (azienda Lapietra).

La soluzione nutritiva la preparo e gestisco direttamente, sulla base di analisi sia dell’acqua pulita di partenza sia del drenato che faccio compiere costantemente, ogni 7-10 giorni, da un efficiente laboratorio olandese. Per irrigare e fertirrigare utilizzo sia l’acqua piovana che recupero dalle campate della serra e stocco in una vasca interrata di raccolta della capacità di 5.000 metri cubi, sia l’acqua che prelevo da un pozzo artesiano. L’acqua piovana è eccellente, poverissima di sali, la utilizzo tal quale. Invece l’acqua del pozzo è ricca di sali dannosi, soprattutto di cloruro di sodio, perciò l’impianto di osmosi inversa mi permette di partire con acqua molto “pulita”, con bassa conducibilità elettrica».

Ciclo lungo

Lapietra coltiva una varietà di pomodoro ramato, saporito, polposo e di buone dimensioni, in un ciclo quasi annuale. Trapianta la terza settimana di gennaio e toglie le piante l’ultima settimana di dicembre o la prima di gennaio, provvedendo poi sia ad allontanare lastre di lana di roccia e piante, sia a pulire e disinfettare accuratamente l’intera serra e tutti gli impianti, prima di allestire le canalette per i nuovi trapianti.

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La serra di Lapietra è in ferro-plastica a campata multipla.

«Stacco i primi grappoli di pomodoro nella terza settimana di aprile. Divido la serra in gruppi di sei filari e per ciascun filare stacco un grappolo da ognuna delle piante in media ogni sei giorni (tranne la domenica), che possono diventare cinque in estate oppure sette-otto in inverno. Quindi ogni pianta mi dà un grappolo da cinque bacche alla settimana. Il grappolo viene raccolto già rosso e durante la raccolta confezionato direttamente a due strati in cassette di cartone da 40 cm x 30 cm».

La produttività

Il pomodoro ramato è una tipologia di pomodoro facile da coltivare, osserva Lapietra, non ha particolari esigenze nutrizionali ed è sicuramente quella che dà meno problemi, a differenza del ciliegino e del datterino che sono caratterizzati da bacche piccole, delicate e con buccia sottile. «Raccolgo in media 55 kg/m², quasi 5.500 quintali di prodotto commerciabile, un ottimo risultato garantito in primo luogo dall’impianto di riscaldamento alimentato da gas metano, che utilizzo quasi tutto l’anno, tranne nei mesi più caldi, da giugno ad agosto. Aumentando la temperatura per almeno 1-2 ore in più sia all’alba sia al tramonto e rendendola, quindi, uniforme per un maggior numero di ore, allungo la “giornata lavorativa” dei pomodori.

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Azienda Lapietra: su ogni lastra di lana di roccia, lunga 2 m, sono posizionate 5 piantine, a distanza di 40 cm l’una dall’altra.

In pratica, sostituendo l’energia solare con quella termica, faccio lavorare di più le piante e aumento la loro produttività. Inoltre, aumentando la temperatura, riesco ad abbassare l’umidità relativa interna alla serra nei periodi più umidi, che regolo comunque anche arieggiando la serra attraverso sia le aperture laterali sia quella al colmo di ciascuna delle dieci campate. Sono accorgimenti pratici dettati dall’esperienza, nulla di trascendentale, ma anche grazie a essi coltivare fuori suolo è più semplice e produttivo che coltivare su terreno».

Preparazione ed esperienza - Ultima modifica: 2019-12-02T12:01:23+01:00 da Lucia Berti

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