Quando si scrive di sostenibilità si corre il rischio di essere fraintesi perché è un concetto ampio, che coinvolge non solo l’uso degli agrochimici, ma anche gli input meccanici ed energetici e più in generale tutti i passi di un processo produttivo. Inoltre è difficile da sintetizzare, e va declinato nei modi opportuni a seconda della coltura e del contesto ambientale. In molti casi un miglioramento della sostenibilità di un processo produttivo si può perseguire razionalizzandone gli interventi. Razionalizzare le operazioni colturali significa in primo luogo evitare di procedere secondo ricette proposte, come valide, per qualsiasi stagione e qualsiasi condizione ambientale. La scelta delle operazioni da eseguire va invece ponderata in funzione di molti parametri che possono portare, a distanza di pochi giorni o di pochi chilometri a scelte anche molto diverse. In secondo luogo bisogna fare una revisione critica del proprio modo di procedere per sostituire alcune operazioni con altre o eliminare quegli interventi ridondanti sotto il profilo agronomico. L’esigenza di razionalizzare la sequenza delle operazioni è particolarmente urgente nel settore delle lavorazioni del terreno.
Aratura pro e contro
Non solo i manuali di orticoltura, ma anche autorevoli testi attuali o del passato, nel trattare la coltivazione di molte orticole esordiscono dichiarando necessarie arature profonde e svariati interventi di affinamento.
Le motivazioni sono sostanzialmente le solite e riguardano la necessità di offrire un ampio volume di suolo esplorabile dalle radici, garantire porosità durante lo sviluppo della coltura, mondare la superficie da residui vegetali e allontanare (interrare) patogeni e semi di infestanti.
Gli obiettivi sono o possono essere corretti, i mezzi indicati per raggiungerli no.
Iniziamo con l’analizzare quella che è sempre l’obiezione più forte quando si propone la sostituzione dell’aratura con altre operazioni: il problema dei patogeni, dei parassiti e delle infestanti.
Rivoltare il terreno, eseguendo un’aratura rovesciata, effettivamente raggiunge questo scopo se la sua esecuzione è una tantum. Ad esempio nel caso delle orobanche, parassiti vegetali che, nelle aree dove sono diffusi, creano forti problemi alla coltura, producono semi in grado di rimanere quiescenti per molti anni. Così molte spore fungine e molti semi di comuni infestanti permangono vitali. Oltre a tutto, trasferendoli in profondità si allontanano da quelle condizioni che possono alterare la loro germinabilità e si sottraggono alla predazione. Lasciarli in superficie o in prossimità di essa permette, nel caso delle infestanti, di ridurre efficacemente il loro stock creando le condizioni per la loro germinazione prima dell’impianto della coltura (tecnica della falsa semina). In pratica s’interrano semi, spore e miceli dell’anno e si portano in superficie quelli degli anni precedenti. Peraltro se l’interramento è ritenuto necessario si può eseguire con modalità diverse o con diverse attrezzature.
Residui colturali
Il problema dell’interramento ricorre anche con i residui colturali che, quando sono abbondanti, possono interferire con le operazioni di semina di semi minuti o del trapianto. In entrambi i casi esistono attrezzature idonee a operare anche su terreno sodo, ma le difficoltà che s’incontrano sono ancora in grado di decurtare il reddito in misura significativa. È quindi accettabile provvedere al loro interramento, ma va precisato che un interramento in profondità è poco utile perché la sostanza organica non subirà quella rapida degradazione che è sempre auspicabile (non ultima quella di eliminare una potenziale fonte di inoculo) né tantomeno potranno avviarsi processi di umificazione. Una loro miscelazione nello strato più superficiale del suolo o il loro completo interramento a profondità non superiori ai 15 cm costituiscono due soluzioni praticabili, anche se di valore agronomico decrescente.
Sul sodo
L’introduzione dell’interratrice, che come dice il suo nome è attrezzatura idonea a svolgere bene questo compito, può rappresentare la soluzione ideale quando è necessario garantire un letto di semina o trapianto perfettamente pulito. In alternativa un erpice a dischi indipendenti può creare una giusta miscelazione del residuo nel suolo che, se anticipata rispetto alla stagione d’impianto della coltura, consente l’avvio delle degradazioni e la riduzione della sua consistenza.
Entrambe queste attrezzature vanno impiegate su terreno sodo. Compiere altre lavorazioni è ridondante, cioè porta a uno spreco energetico e a un inutile, e per questo dannoso, ulteriore disturbo al suolo.
Sui suoli compatti
Ovviamente, quando è necessario, bisogna intervenire per ripristinare la giusta porosità del suolo prima di eseguire l’operazione di preparazione del letto di semina o di trapianto. Questa operazione può avvalersi di attrezzature specifiche, come i decompattatori o i ripuntatori, progettate cioè per svolgere bene questo compito. Le migliori, e le uniche impiegabili in un contesto di piena sostenibilità, sono quelle che non alterano il profilo del suolo, rispettandone la stratigrafia. Operando secondo questo principio, cioè evitando il rivoltamento degli strati più profondi, nel tempo migliora l’attività biologica del terreno che soffre molto del rivoltamento prodotto dalle arature profonde.
Queste attrezzature sono caratterizzate da ancore con fusto verticale (ripuntatori) o con fusto verticale dotato di un vomere “alato” o ricurvo lateralmente o asimmetrico (decompattatori). Le prime creano una fessurazione importante e un dirompimento nelle interfila fra il passaggio delle ancore che genera macro e micropori. Possono anche essere dotate di ogiva per creare dei drenaggi temporanei. Le seconde, invece, oltre all’azione descritta, producono un sollevamento temporaneo del terreno che amplifica l’effetto dirompente pur lasciando inalterato il profilo del terreno.
Entrambe, infatti, non arrecano disturbo alla superficie del terreno che rimane in gran parte intonso. Nei terreni argillosi o comunque tenaci, questo intervento, se non avvengono fatti particolari, si può reiterare anche solo ogni tre o quattro anni. Nei terreni sciolti ogni uno o due anni. in quest’ultimo caso però lo sforzo di trazione è sensibilmente inferiore.
Su questa ipotesi di lavorazione idonea per le orticole di pieno campo, estremamente semplificata dato che riduce a uno o due gli interventi sul suolo per coltura, si possono innestare altre operazioni finalizzate a risolvere specifiche necessità. Si migliora la fertilità del terreno, si proteggono le riserve idriche, si riduce il parco macchine e il costo delle lavorazioni, si consuma meno gasolio. n
Meccanizzazione, verso la sostenibilità
Le lavorazioni devono essere specifiche per la realtà in cui si opera. Gli interventi su sodo, per interrare
i residui colturali e su suoli compatti