Quando Massimo Manni, all’inizio degli anni ’90, avviò a Taviano (Le) un’azienda floricola, partì con l’obiettivo di specializzarsi nella produzione di crisantemi recisi da fioritura programmata. Decisione lungimirante la sua, perché il crisantemo programmato è una delle poche colture floricole da fiore reciso non colpita dagli effetti della crisi che già da diversi anni ha pervaso l’intero comparto. Adesso l’Azienda agricola Manni Massimo, che viene gestita dal titolare con i figli Rudy e Yuri e comprende una superficie dedicata di quasi 30.000 m² di serre in ferro-vetro con copertura in plastica, vanta una posizione di grande prestigio nella coltivazione del crisantemo programmato in Puglia. L’applicazione di moderne tecniche garantisce la produzione di un crisantemo di ottima qualità in qualsiasi momento dell’anno e la presenza continua sul mercato locale e su quelli nazionali.
Esperienza
Un risultato possibile, però, grazie anche ad altri due importanti punti di forza: l’esperienza ereditata da una lunga tradizione familiare e l’impiego di personale altamente qualificato.
«Il crisantemo programmato è una coltura particolare, che non tutti sanno e riescono a portare avanti, perché l’investimento, non solo in denaro ma anche in termini di tempo e di attenzione, è molto alto. Però a me è sempre piaciuto cimentarmi con questa coltura “difficile” e riuscire a portarne i fiori sul mercato da gennaio a dicembre. Inoltre conviene produrre crisantemo perché è un fiore economico e di più lunga durata rispetto ad altri fiori e quindi molto richiesto, tanto che la domanda è maggiore dell’offerta».
Manni proviene da una famiglia di floricoltori tradizionalmente legati, come era pratica comune, 30 anni fa, nelle aree floricole salentine di Taviano e Leverano, alla coltivazione di specie floricole da fiore reciso, fra cui il crisantemo non programmato.
«Coltivare tanti fiori recisi non mi piaceva, troppo dispendio di energie in cambio di alternanti e comunque scarsi risultati economici. Coltivarne uno solo era molto rischioso: la crisi del gladiolo prima e del garofano poi, fiori che hanno fatto la storia della nostra floricoltura e sulla cui pressoché assoluta monocoltura tante aziende avevano investito, subendo poi i pesanti contraccolpi economici di quella scelta non oculata, mi indusse, dopo un’attenta ricerca di mercato, a puntare solo sul crisantemo, ma a fioritura programmata».
Tecnologie moderne
La coltivazione del crisantemo programmato richiede infatti, rileva Manni, la disponibilità in azienda di tecnologie moderne capaci di modificare le condizioni ambientali e di adattarle alle esigenze naturali del crisantemo.
«È possibile coltivare il crisantemo durante l’intero anno per la sua sensibilità al fotoperiodo, ossia alla durata del periodo di illuminazione naturale giornaliera. Poiché è una specie brevidiurna, fiorisce in condizioni naturali a novembre, cioè di giorno corto, della durata di circa nove ore (con 15 ore di buio). Perciò nel resto dell’anno, affinché avvenga l’induzione a fiore delle gemme, il crisantemo ha bisogno di almeno 15 ore di buio, che realizzo oscurando le serre con l’apertura di appositi teli neri, disposti sia sopra le piante sia lungo i fianchi della serra. Invece durante i mesi invernali somministro, nelle prime fasi di crescita, luce supplementare con l’ausilio di lampade a incandescenza, per aiutare la fase vegetativa. Per illuminare le serre e soddisfare tutte le altre necessità aziendali il fabbisogno di energia elettrica è considerevole, con costi molto elevati. Perciò ho dotato ogni serra di un impianto fotovoltaico da 50 kW. L’energia elettrica prodotta la utilizzo per i fabbisogni delle serre e dell’intera azienda, mentre mando in rete quella eventualmente in eccesso».
Temperatura
Se la modificazione del fotoperiodo naturale è fondamentale per la fioritura del crisantemo, la regolazione della temperatura interna della serra è decisiva per ottenere fiori di buona qualità.
«Il crisantemo ha bisogno di una temperatura minima interna alla serra di almeno 15-16 °C per crescere e fiorire. D’altra parte, se la temperatura interna supera i 35 °C, può manifestare eccesso di sviluppo di gemme vegetative e quindi di troppa vegetazione. Perciò è necessario nei mesi freddi riscaldare la serra e in quelli caldi raffreddarla».
Per riscaldare le serre Manni ha adottato negli anni diverse modalità, con il pensiero fisso di risparmiare sui costi dell’energia necessaria. Un obiettivo raggiunto solo negli ultimi anni.
«Negli anni ’90 ho iniziato a riscaldare il primo vecchio gruppo di serre, a Taviano, negli anni ’90, con aria calda prodotta da bruciatori alimentati con gasolio. Ma il riscaldamento con aria calda è poco omogeneo. Così i due complessi serricoli da 8.000 m² ciascuno, realizzati a Rácale nel 2001 e a Taviano nel 2004, li riscaldavo con acqua calda utilizzando sempre il gasolio come combustibile. Il riscaldamento con acqua calda è più efficace e conveniente. Infatti l’acqua calda viene inviata in un telaio di tubi alzarete che fa da sostegno alle piante e viene sollevato man mano che le piante crescono: così cede il calore direttamente a esse, quasi a livello basale quando sono piccole e poi agli interi steli. L’unico inconveniente è che la temperatura dell’acqua non deve superare i 40-45 °C per evitare che il calore eccessivo bruci le foglie più vicine ai tubi. Ma ho rimediato con tubi aerei, che, trasportando acqua a 70-80 °C, consentono di riscaldare le serre in maniera completa».
Caldaie a biomassa
Ma presto Manni si rese conto che i costi energetici per riscaldare le serre erano diventati insostenibili e, sommati agli altri costi, fra cui quello dell’energia elettrica per illuminare le serre e per tutti gli altri fabbisogni aziendali, non rendevano più conveniente l’attività floricola.
«La mia arretratezza tecnologica me la confermavano, girando per fiere e mostre sulle energie rinnovabili, gli espositori che mi guardavano allibiti quando dicevo loro che riscaldavo ancora le serre bruciando gasolio! Così acquistati una caldaia, alimentabile con diverse biomasse, per produrre l’acqua calda necessaria a riscaldare una delle due serre da 8.000 m²».
Manni rimase così soddisfatto dai risultati offerti dalla prima caldaia che subito ne acquistò altre tre: una per l’altra serra da 8.000 m² e due per una terza serra da 13.000 m² che, rincuorato dall’abbattimento dei costi energetici, eresse a Taviano nel 2011.
«Sono caldaie a biomassa facili da gestire, veri e propri forni dal rendimento altissimo che possono essere alimentati con biomasse facili da reperire come la sansa e il nocciolino, acquistabili da sansifici locali, ma anche con cippato, pellet, scorze di mandorle e nocciole, persino legno di scarto, pedane rotte e così via. Certo, le materie prime combustibili costano, come pure le caldaie, per l’acquisto, la manutenzione e l’ammortamento, ma il costo energetico che sopporto attualmente è di gran lunga più basso di quello che sostenevo utilizzando il gasolio. Senza le caldaie non avrei potuto continuare a coltivare il crisantemo programmato».
Fertirrigazione
Per produrre crisantemo programmato di qualità non basta però ottimizzare i parametri ambientali, osserva Manni. «Occorre gestire con estrema cura sia la fertirrigazione sia il controllo fitosanitario. Curo la fertirrigazione con un piano adeguato di nutrizione minerale basato sulla dotazione del terreno, che verifico con periodiche analisi chimico-fisiche, e sulle esigenze dei crisantemi in ogni loro fase di sviluppo. Raccolgo con cura l’acqua piovana dai tetti delle serre perché la utilizzo per l’irrigazione e la fertirrigazione del crisantemo contribuendo al risparmio energetico aziendale. Ad esempio, nella serra da 13.000 m² l’acqua piovana viene convogliata in due grossi tubi centrali che la riversano in due vasche esterne, che formano una preziosa riserva di circa 2.500 quintali. Un capiente vaso di espansione, posto in alto e tenuto sempre pieno dall’autoclave, alimenta l’impianto irriguo sull’intera superficie della serra. Se non utilizzassi l’acqua piovana avrei dovuto scavare un pozzo aziendale, con grosso dispendio energetico per realizzarlo e tenerlo in funzione».
La difesa
Anche se ha dotato le serre di rete antiafidi, Manni presta molta attenzione alla lotta preventiva contro afidi e tripidi.
«Gli afidi (Myzus persicae e Aphis gossypii) si insediano sulle gemme e sui germogli, danneggiandoli. Il tripide occidentale delle serre o dei fiori (Frankliniella occidentalis) con le punture causa crescita irregolare e distorsioni delle gemme e alterazioni cromatiche, scolorimenti e vistose striature sui petali del capolino, e trasmette il Tswv, virus che rovina le foglie e può portare la pianta alla morte. Trappole cromotropiche gialle adesive disposte in gran numero nelle serre consentono di catturare le mosche bianche o aleurodidi della serra (Trialeurodes vaporarorium), parassiti estremamente dannosi che si nutrono sulla parte inferiore delle foglie apicali perforando con l’apparato boccale il tessuto fogliare: le piante quindi si indeboliscono per la perdita di linfa e le punture facilitano l’accesso di funghi e batteri che provocano malattie. Per la difesa, così come per tutte le altre operazioni necessarie nella coltivazione del crisantemo, mi avvalgo di personale altamente qualificato, forza essenziale della mia azienda».