02La fertirrigazione è senza dubbio una tecnica che aiuta il coltivatore a massimizzare le rese, a migliorare la qualità, a ridurre gli sprechi di acqua e concimi, ecc.. In sintesi a raggiungere un maggior profitto.
Per ottenere tutto ciò occorre prendere un insieme di giuste decisioni, che cominciano con il corretto campionamento dell’acqua irrigua, del terreno e dei substrati di coltivazione per il fuori suolo al fine di sottoporli ad analisi chimico-fisica in laboratorio. Il lavoro prosegue con il calcolo preciso delle formule nutritive e il loro adattamento alla singola specie coltivata e al suo stadio fenologico, per finire con il preciso dosaggio di acqua e fertilizzanti in base alle condizioni del terreno e o del substrato e del micro-clima in serra. Il lavoro poi continua con successivi campionamenti e analisi periodiche per verificare ed eventualmente correggere la risposta delle colture.
In questo articolo ci concentriamo su tre importanti fattori che è necessario conoscere per gestire bene la fertirrigazione in una coltura in fuori suolo:
1) L’analisi chimico agraria dell’acqua irrigua;
2) Le caratteristiche idriche di un substrato di coltivazione “Curva di ritenzione idrica”;
3) Gestione del drenato della soluzione nutritiva.
Analisi chimico agraria
L’acqua in realtà è una soluzione di sali, o meglio di ioni, cioè atomi carichi elettricamente, che talvolta sono anche degli elementi nutritivi per le piante, come ad esempio il Calcio (Ca++) ed il Magnesio (Mg++) ecc..
Altri sono ioni in gran parte dannosi per la crescita delle colture, ad esempio lo ione bicarbonato (HCO3-), il quale fa da tampone al pH dell’acqua e può essere causa di precipitazione ed incrostazioni dell’impianto irriguo sotto forma calcare.
Altri ioni sono tossici per la maggior parte delle colture, come ad esempio il Sodio (Na+) ed il Cloro (Cl-). Normalmente sono del tutto assenti i principali elementi nutritivi utili alle piante, come l’Azoto (N), il Fosforo (P) ed il Potassio (K); quindi la definizione esatta, di quella che noi comunemente chiamiamo “acqua irrigua”, o addirittura “acqua pura”, è in realtà “una soluzione nutritiva (parziale)”. È forse un concetto un po’ estremo, ma esprime abbastanza bene il processo della nutrizione minerale dal punto di vista della chimica agraria.
Per esempio, si può considerare un’acqua a bassissima salinità, con una EC o elettro-conducibilità pari a soli 400 microS/cm o 0,4 mS. Eppure anche un’acqua così “pura”, potrebbe contenere 1,25 milliMoli/l di Calcio (Ca++), circa un 1/3 del Calcio necessario per fertirrigare delle fragole in fuori suolo o su un terreno 90% sabbioso (1,25 mmol/l su 3,70 – 4,00 mMoli/lt richieste dalla formula della ricetta nutritiva).
Un’altra acqua invece, potrebbe avere una E.C. molto alta (1,6 mS), quindi in grado di fornire più di metà di alcuni elementi minerali richiesti da una coltura, per es. di pomodoro (1,6 mS su 2,8 totali della ricetta), addirittura il 100% del Magnesio (1,5 mMol/l) e l’80 - 100% del Calcio (4,0-6,0 mMol/l), che a questo punto non verranno aggiunti all’acqua con i fertilizzanti.
Se qualcuno si dovesse trovare a disagio con unità chimiche come le mMol/l (= milli-moli/l) o i meq/l (milli-equivalenti/l), ricordo che in chimica agraria è fondamentale esprimere le analisi delle acque e le formule delle ricette nutritive in composizioni milliMolari, soprattutto per una comodità di calcolo. Poi sarà sufficiente moltiplicare le concentrazioni milliMolari per il peso atomico dell’elemento chimico o per il peso molecolare della sostanza ed ottenere il peso in mg/l del fertilizzante da usare.
I risultati analitici dell’acqua irrigua sono indispensabili per poter calcolare e bilanciare la corretta quantità di fertilizzanti da impiegare nella formula della soluzione nutritiva.
In funzione del valore analitico dei bicarbonati, si calcola la quantità di acido necessario per la loro neutralizzazione per portare l’acidità finale della soluzione nutritiva a valori di pH compresi tra 5,5-6,2. A tale scopo viene normalmente utilizzato l’acido nitrico (HNO3) in modo da ottenere anche un’azione nutrizionale azotata. Altro parametro da tenere in considerazione nella preparazione della soluzione nutritiva è il valore della conducibilità elettrica o salinità (EC), che deve essere mantenuta entro valori che variano da 1,4 a 2,6 mS/cm nella soluzione finale, secondo il tipo di coltura.
Le problematiche legate all’acqua possono essere anche di tipo fisico, chimico e biologico. In linea di massima sono riconducibili a materiali solidi come la sabbia, a sostanze chimiche come i bicarbonati e ad organismi come batteri ed alghe. Tutti elementi che devono essere trattati per evitare problemi d’intasamenti dell’impianto fertirriguo e di occlusione dei gocciolatori, prevedendo l’inserimento di appositi filtri.
Soluzione nutritiva
Per preparare una soluzione nutritiva si devono utilizzare i fertilizzanti idrosolubili da sciogliere in minimo due vasche, chiamate genericamente vasca A e vasca B.
La ragione per la quale si suddividono i fertilizzanti in almeno due vasche dipende dal fatto che il calcio, a contatto con i fosfati e i solfati, tende a formare sali insolubili che precipitano.
Per questo motivo è buona norma aggiungere una piccola quantità di acido anche nelle vasche delle soluzioni concentrate per prevenire queste reazioni.
Un impianto tipo, oltre alle due vasche, comprende in genere anche una vasca contenente solo l’acido necessario per l’acidificazione della soluzione nutritiva.
La soluzione concentrata ottenuta verrà poi diluita, in genere cento volte, al momento dell’utilizzo tramite dosatori volumetrici o sistemi computerizzati i cosiddetti banchi di fertirrigazione.
Le caratteristiche idriche
La coltura in fuori suolo su substrato si caratterizza per l’impiego di contenitori o sacchi di varia forma e dimensione, e di un substrato artificiale, che è diverso dal terreno agrario ed è preparato con materiali di varia natura (torba, fibra di cocco, perlite, pomice, argilla espansa, ecc.). A volte si preferiscono dei miscugli come quelli a base di torba e perlite, o fibra di cocco e perlite, o di torba e pomice. Al substrato, oltre alla sanità (cioè, l’assenza di patogeni, parassiti e malerbe) si richiedono una serie di caratteristiche chimiche e fisiche.
Concentriamoci solo sulle caratteristiche fisiche, che sono quelle che determinano la capacità del substrato nel contenitore a sostenere le piante (legata alla densità apparente) ma soprattutto le sue proprietà idriche.
In generale, i substrati devono avere un’elevata porosità (>80%), un’adeguata capacità di ritenzione dell’acqua e dell’aria (quindi ossigeno per le radici), una buona capacità di drenaggio (la capacità di liberarsi rapidamente dell’acqua in eccesso).
Le proprietà idriche dei substrati, (i rapporti tra acqua e parte solida) sono aspetti tecnici determinanti sia per la scelta dei materiali più idonei per una determinata coltura, sia per il controllo e la gestione dell’irrigazione. Ad esempio, per colture con radici particolarmente esigenti in termini di ossigeno e/o condotte in contenitori di piccole dimensioni (come le celle dei contenitori alveolari impiegati nella produzione di piantine da seme e di talee radicate in vivaio) occorre impiegare dei substrati con un’elevata capacità di drenaggio.
La porosità rappresenta la frazione del volume apparente di un substrato costituita da spazi vuoti, che quindi potrebbe essere riempita dall’acqua e/o dall’aria. La porosità può essere determinata in laboratorio utilizzando procedure standardizzate ed è costituita dalla somma di due classi di dimensioni di pori: i micropori ed i macropori.
Per micropori si intendono i pori di dimensioni inferiori ai 30-50 μm (micron). Solo la microporosità è responsabile della ritenzione “stabile” dell’acqua dopo il drenaggio libero.
I macropori sono costituiti dagli spazi fra macro-aggregati, nei quali si verificano i processi di infiltrazione e drenaggio idrico. I macropori sono normalmente occupati dall’aria. L’acqua che temporaneamente può riempire la macroporosità, dopo un’abbondante irrigazione, si chiama acqua gravitazionale in quanto viene persa rapidamente sotto l’azione della forza di gravità, forza superiore alla capacità del substrato di trattenerla per capillarità.
Curva di ritenzione idrica
Le proprietà idriche dei substrati sono generalmente descritte dalla cosiddetta “Curva di ritenzione idrica”, che è determinata in laboratorio misurando il contenuto idrico (in volume) a valori decrescenti di potenziale idrico (o tensione di umidità).
Il campo di variazione della tensione per cui si suole individuare la curva è molto ristretto, in generale per i substrati utilizzati nelle coltivazioni in fuori suolo in contenitore, i valori vanno da 0-100 hPa .
-100 hPa equivale alla tensione che si riscontra a un metro (100 cm) di altezza dal fondo del substrato. Ricordiamo che: 1 kPa = 10 hPa = 10 cm H2O = pF 1 = 0,01 bar = 7,5 mm Hg = 0,145 psi ≈ 0,01 atm.
Si utilizza anche un altro parametro, il “pF” che è meno logaritmo in base 10 della tensione dell’acqua espressa in cm di acqua.
Il valore 0 di tensione definisce lo stato di saturazione del mezzo e il relativo contenuto massimo di acqua.
I valori del contenuto idrico a saturazione sono molto elevati per i substrati, arrivando fino all’80- 85% del volume apparente occupato dal substrato stesso. Tali contenuti decrescono molto rapidamente all’aumentare della tensione, tanto che in alcuni casi viene rilasciata più del 50% dell’acqua ritenuta passando dalla saturazione (0 hPa) alla tensione -50 hPa.
Nella fig. 1 si riporta una tipica curva per un ipotetico substrato.
Dai valori relativi alla curva di ritenzione idrica possiamo ricavare alcuni indici utili per la comprensione del comportamento idrico del substrato:
1) la capacità per l’acqua (contenuto idrico o ritenzione idrica) misurata a -10 hPa;
2) la capacità per l’aria (CA) alla tensione di -10 hPa, calcolata come differenza tra la porosità e il contenuto idrico a -10 hPa;
3) la differenza tra il contenuto idrico a -10 hPa e quello a -50 hPa, detta acqua facilmente disponibile (AFD);
4) la differenza tra il contenuto idrico a -10 hPa e quello a -100 hPa, detta acqua disponibile (AD);
5) la differenza tra il contenuto idrico a -50 hPa e quello a -100 hPa, detta acqua di riserva (AR) o tampone idrico o acqua difficilmente disponibile.
Uno scarso potere tampone indica un maggior rischio di stress idrico per la pianta e suggerisce, quindi, una maggior cura nell’irrigazione.
Un esempio di valori per un substrato di coltivazione sono quelli riportati nella fig 1.
P (porosità) = 90%;
CA (capacità per l’aria) = 38%;
AFD (acqua facilmente disponibile) = 37%;
AD (acqua disponibile) = 52%.
AR (acqua di riserva) = 15%
Nella figura la quantità di acqua facilmente disponibile è visualizzata dalla figura ovale di colore arancione che va dal 25 al 62% del volume e corrisponde ad una tensione che va da -10 hPa a -50 hPa. Con una bilancia è facile avere una misura in peso della quantità di acqua, facendo le diverse pesate di un volume di substrato, partendo dalla sua saturazione e, attraverso le varie misure fino al punto di misura dell’acqua di riserva o poco disponibile che va da -50 hPa a -100 hPa
La pratica irrigua
Conoscere la curva di ritenzione idrica dei nostri substrati è molto utile in pratica per la gestione dell’irrigazione e della fertirrigazione delle nostre coltivazioni in fuori suolo.
Proviamo a dare alcune indicazioni generali in base ai valori di P, CA, AD e AR per differenti tipi di substrati, per i quali l’irrigazione deve seguire criteri diversi:
Tipo 1: substrati a elevata P (> 85%), CA (> 20%), AD (> 25%) e AR (≈10), come le migliori torbe (quelle molto fibrose); per questi substrati, l’irrigazione non è un grosso problema, anche in considerazione del tampone idrico elevato.
Tipo 2: substrati poco porosi caratterizzati da valori bassi di CA (< 20%) e medi di AD (< 20%) e AR (≈3 4), come le torbe brune o nere; questi materiali richiedono attenzione per ridurre i rischi di asfissia radicale;
Tipo 3: substrati con elevata CA (> 30%), ma con valori ridotti di AD (< 20-15%) e AR (< 5%); sono tutti i materiali grossolani, spesso usati in miscela con la torba, come la perlite, la pomice, l’argilla espansa, che richiedono irrigazioni frequenti e in piccolo volume.
Per avere una migliore aerazione e una buona disponibilità di acqua per la pianta, soprattutto per contenitori di piccole dimensioni, è bene applicare poca acqua ma più frequentemente. Bisogna fare attenzione alle dimensioni e alla velocità del flusso idrico per non rischiare dilavamenti o asportazioni di substrato. Come tutti sanno, conoscere il momento giusto per l’irrigazione è una delle abilità più difficili da acquisire da parte dei coltivatori.
Gestione del drenato della soluzione nutritiva
Per una buona gestione di una coltura in fuori suolo, il coltivatore dovrà annotare, su un apposito registro, le seguenti misure, a cadenza giornaliera o almeno settimanale:
1) Misura della quantità di drenato prodotto.
La quantità di drenato non dovrebbe mai scendere sotto la media giornaliera rispettivamente del 10-20% nel ciclo aperto e del 40-50% della soluzione nutritiva somministrata nel ciclo chiuso: valori inferiori possono portare ad accumuli di salinità non desiderati nel substrato.
È importante che si controlli, oltre alla percentuale totale giornaliera di drenato, anche la sua distribuzione giornaliera: infatti, se la gestione irrigua è fatta correttamente, la percentuale di drenaggio dovrebbe essere simile in tutte le irrigazioni.
Negli ultimi anni, lo sviluppo di sensori dielettrici in grado di misurare l’umidità del substrato di coltivazione ha permesso la realizzazione di centraline irrigue in grado di gestire le partenze irrigue sulla base della misura diretta dell’umidità del substrato.
2) Misura della conducibilità elettrica (EC) del drenato.
Il valore non dovrebbe essere superiore al 20% del valore prestabilito per la soluzione in entrata. Incrementi della EC del drenato possono essere causati dal malfunzionamento del banco di fertirrigazione o dall’accumulo di salinità nel substrato a causa di percentuali di drenaggio insufficienti o dall’accumulo eccessivo di sali nella soluzione ricircolante (solo per il ciclo chiuso). Occorre, quindi, aumentare la percentuale di drenaggio e, nel caso del ciclo chiuso, effettuare il rinnovo della soluzione ricircolante;
3) Misura del pH del drenato.
Il valore del pH drenato deve essere compreso fra 5.0 e 6.0. Valori più bassi possono essere causati, oltre che dal malfunzionamento del banco di fertirrigazione, anche da elevate quantità di azoto ammoniacale (NH4+) nella soluzione nutritiva (> di 1 mMol/l) o da un basso potere tampone dell’acqua irrigua (basso contenuto di bicarbonato, inferiore a 1 mMol/l).
Se invece il pH tende ad incrementare, si può aumentare la percentuale dell’azoto ammoniacale fino ad un massimo del 20% dell’azoto totale e comunque non superiore ad una concentrazione di 2 mMol/l.