Per il settore florovivaistico l’impiego di biomasse come fonte energetica è stata una boccata d’ossigeno soprattutto a partire dall’anno 2009, quando è iniziato il vertiginoso aumento del gasolio da riscaldamento.
«In concomitanza con gli incentivi messi a disposizione dal GSE (Gestore Servizi Energetici) – ci riferisce Andrea Iacomino tecnico del settore per l’impiego di biomasse – si sono create le condizioni per cui gli imprenditori agricoli, impegnati a coltivare specie che necessitano di temperature controllate, sono stati incentivati a cercare soluzioni alternative per il riscaldamento».
Nell’azienda agricola di piccola e media dimensione le biomasse sono utilizzate per il riscaldamento utilizzando sia caldaie a massa radiante sia aerotermi (rispettivamente per la produzione di acqua e aria calda).
Organic Rankine Cycle
«In aziende di grandi dimensioni – aggiunge Iacomino – è stato anche possibile, utilizzando un ORC (Organic Rankine Cycle), impianto che converte calore in energia elettrica, abbinare alla caldaia a biomassa un generatore elettrico in modo da rendere l’azienda energeticamente indipendente, anche con l’eventuale integrazione di impianto fotovoltaico».
Normalmente impianti di questo tipo, in grado di generare anche energia elettrica, hanno costi molto elevati e si vanno a collocare solo in grandi realtà agricole.
Effetto sulla qualità
«Il riscaldamento a biomasse – spiega Iacomino – avendo costi di esercizio più contenuti, ha aiutato le aziende floricole ad ampliare i periodi di fioritura, ottenendo quantità di steli nettamente superiori a quelli ottenuti negli anni precedenti. Inoltre, si è creata la possibilità di riscaldare coltivazioni che in passato venivano condotte solo a freddo. L’impiego del riscaldamento ha anche consentito un sensibile aumento della qualità delle produzioni floricole e un anticipo delle stesse. Riscaldare, infine, comporta anche un vantaggio di tipo commerciale poiché è possibile esitare il prodotto in periodi in cui le coltivazioni a freddo non sono ancora pronte per la raccolta».
Ci sono specie, come gerbera e basilico, per le quali i produttori sono stati “costretti” a passare al riscaldamento a biomasse, perché riscaldando al minimo, complice gli alti costi del gasolio, si andava incontro a problemi di difesa per l’insorgere di diverse fitopatologie legate all’alta umidità.
«In altri casi, come nella coltivazione di fiori e piante sub – tropicali (anthurrium e orchidee) – aggiunge il nostro interlocutore – il problema si è posto per mantenere le temperature a valori elevati, indispensabili per avere fiori di buona qualità. Per cui, al fine di arginare i forti costi di produzione, che rendevano ormai quasi impossibile continuare la coltivazione, si è passati all’impiego delle biomasse».
Le più usate
Le biomasse più usate in serra sono quelle legate ai residui agroindustriali, cosi come descritto nella legge 152/2006.
«In particolare, si cerca di approvvigionarsi di biomasse legate al territorio, poiché il trasporto incide non poco considerati il volume e il peso elevato del materiale. Tra i combustibili più usati ci sono gusci di nocciole, foglie di pigna, e nocciolino di oliva disoleato».
Ognuno di questi combustibili presenta pro e contro, che possono andare dal residuo ceneri, al potere calorifico o ai problemi che i residui possono creare agli impianti negli anni.
«Un costo medio di questi combustibili, considerando un prezzo medio, si aggira intorno ai 12-15 euro al quintale; normalmente i prezzi sono molto altalenanti a seconda del periodo e della richiesta».
Normalmente il periodo di riscaldamento non sempre coincide con i periodi di lavorazione delle biomasse, quindi è buona norma che ogni azienda crei un suo stock di riserva da utilizzare nei momenti di scarsa quantità.
«Ad esempio – spiega il tecnico – con i prezzi sopra indicati, utilizzando nocciolino di oliva ad un prezzo di 16 euro al quintale è come utilizzare il gasolio a 0,30 cent a litro».
La gestione
Normalmente la gestione di un impianto a biomasse è differente da una centrale termica a gasolio.
«Le caldaie di nuova generazione sono ormai più affidabili delle caldaie a gasolio. La differenza sostanziale è rappresentata dal fatto che l’impianto a biomasse ha bisogno di una manutenzione giornaliera necessaria per la pulizia e la tenuta in sesto dell’impianto, per la pulizia dei filtri, dei bracieri, dei contenitori delle ceneri e dei fasci tubieri. Insomma è un impianto in cui bisogna “sporcarsi le mani”, ma che dà le sue soddisfazioni se ben curato, sia come durata che come risparmio».
Oramai gli impianti a biomassa sono presenti in qualunque azienda necessiti mantenere almeno un delta di +10°C sotto serra. Le coltivazioni interessate sono le più svariate: dalle erbe aromatiche al fiore reciso alle piante in vaso.
Un esempio di costo
Prendendo in considerazione una serra di 1000 m2 avremo bisogno di una caldaia a biomassa da 130 kW fornita di automazione e telecontrollo per combustibili triti di grossa granulometria. L’investimento complessivo, compreso il caricamento e la distribuzione in serra, è pari a 21.000 euro (esclusa IVA).
«Se consideriamo una coltivazione che necessita di una temperatura media di 18°C –spiega Iacomino – utilizzando nocciolino di oliva avremo un costo per riscaldamento di 8.600 euro a fronte dei 15.000 euro nel caso di impiego di gasolio, alle attuali quotazioni. Calcolando i costi d’investimento e il risparmio ottenuto ogni anno si può stimare che in tre anni avremo raggiunto il payback dell’investimento».
Le nuove tecnologie sono tutte basate sulla gassificazione di biomasse, con produzione di syngas usato poi in un motore da combustione interna per la produzione di energia elettrica e termica, o da piccoli biodigestori per creare biogas da usare in un motore endotermico.
«Per adesso esiste questa tipologia d’impianto che, così come è accaduto per le prime automobili, non hanno un affidabilità tale da poter sostituire una centrale a biomassa a combustione; bisognerà aspettare ancora qualche anno per avere delle macchine in grado di sostenere il lavoro continuativo e logorante operato nelle aziende agricole».
Fino al 31 agosto 2017 ci sono stati i certificati bianchi, un’ottima ragione per cui numerose aziende hanno deciso di passare al riscaldamento a biomassa.
«L’incentivo ripagava quasi del tutto il costo del combustibile e parte dell’impianto con durata di 5 anni. Oggi, per avere incentivi tramite il PSR regionale, è necessario presentare progetti, per la creazione di nuove aziende, in cui tutta l’energia, sia termica che elettrica, venga attinta da fonti rinnovabili».
Per chi non rientra nelle pratiche PSR è comunque presente il conto termico che rimborsa fino al 65 % dell’investimento a seconda della zona climatica.
«A giugno, comunque, ci sarà il nuovo conto energia e si spera che siano di nuovo disponibili i certificati bianchi, che hanno dato grande slancio a chi ha deciso di passare al riscaldamento a biomassa. In questo modo, inoltre, possiamo ripagare, anche se in piccola parte, quel debito che abbiamo accumulato con l’ambiente in tutti questi anni in cui, con le fonti fossili, abbiamo prodotto notevoli quantità di emissioni inquinanti».
Energie alternative per riscaldare le serre
L’impiego delle biomasse per il riscaldamento ha ridato slancio al settore, favorendo la qualità delle produzioni