Biostimolanti, cosa prevede la nuova normativa europea

piante in laboratorio
Il regolamento Ue 2019/1009 sui fertilizzanti disciplinerà a partire da luglio per la prima volta questi prodotti a livello comunitario

Il 25 giugno 2019 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il Regolamento Ue 2019/1009 che si applicherà dal prossimo luglio.

Per la prima volta la norma che stabilisce le regole per la messa a disposizione sul mercato dei prodotti fertilizzanti a marchio Ce ha dato una definizione di “Biostimolante delle piante”.

Per la norma un biostimolante è qualunque prodotto che stimola, appunto, i processi nutrizionali delle piante, indipendentemente dal suo tenore di nutrienti, con l’unica finalità di migliorare una o più delle seguenti caratteristiche della pianta o della rizosfera della pianta:

a) efficienza dell’uso dei nutrienti;

b) tolleranza allo stress abiotico;

c) caratteristiche qualitative;

d) disponibilità di nutrienti confinati nel suolo o nella rizosfera.

La norma sui fertilizzanti

normativa europeaNella Ue, a differenza di altre parti del mondo, si è deciso di includere i biostimolanti tra i fertilizzanti, assieme a concimi, correttivi, ammendanti e substrati di coltivazione.

È interessante il chiarimento che le funzioni di un biostimolante non devono dipendere dall’eventuale contenuto di nutrienti, intesi nel senso più tradizionale del termine. Significa che possono contenere, ad esempio, azoto o magnesio o ferro ma lo “stimolo”, ancorché legato ai processi nutrizionali, è esclusivamente finalizzato al miglioramento di specifiche caratteristiche.

Il legislatore Comunitario ha deciso di considerarli fertilizzanti e non fitosanitari anche se l’argomento è molto delicato ed è opportuno evitare di girarci intorno.

Proprio in questi ultimi anni, in Italia sono aumentati i controlli sui fertilizzanti volti a punire quelli le cui descrizioni in etichetta sono andate ben oltre la funzione nutritiva ed è stata usata terminologia chiaramente da fitosanitario.

Relativamente ai biostimolanti, ad esempio, la revisione del Farm bill statunitense ha per la prima volta introdotto una loro definizione (molto simile a quella Ue) ma li ha inseriti come “non-fitosanitari” sotto il controllo dell’autorità che, oggi, disciplina negli Usa gli agrofarmaci.

Per gli utilizzatori italiani, l’inquadramento tra i fertilizzanti comporterà l’aliquota Iva agevolata del 4% (contro il 10% dei fitosanitari ed il 22% dei prodotti generici) e, a ulteriore differenza tra le due categorie, non occorrerà nessun permesso/licenza/autorizzazione per commercializzarli o impiegarli. Sono evidenti i vantaggi, anche commerciali, derivanti dall’aver compreso i biostimolanti nella norma sui fertilizzanti.

Leggere bene l’etichetta

Come abbiamo scritto, mancano ormai pochi mesi prima di veder applicato il nuovo regolamento a livello Ue ma, anche dopo, è comunque previsto che restino valide le singole norme nazionali.

Vediamo brevemente cosa prevede, oggi, il Decreto legislativo 75/2010 che, lo ricordiamo, è l’unica norma che disciplina in Italia i biostimolanti.

Gli operatori del settore (dal distributore all’hobbista) devono porre particolare attenzione quando ne acquistano uno. L’uso del termine “biostimolante” è riservato, infatti, ai tipi di fertilizzanti elencati nell’allegato 6 (sezione 4.1) e la legge stabilisce persino che non è consentito dichiarare proprietà biostimolanti alla miscela di uno degli 11 tipi con altri fertilizzanti compresi nel Dlgs.

L’invito a una maggiore attenzione al momento della scelta è quindi rivolto a tutti: suggeriamo di prestare attenzione a quello che si acquista, di controllare sempre bene le diciture per verificare la presenza o meno del termine “biostimolante” e la coerenza con la restante parte dell’etichetta e con l’aliquota Iva applicata.

Alla luce di quanto sopra illustrato, è chiaro che la definizione “Biostimolante” si può impiegare solo per alcuni specifici fertilizzanti: dal 2006 solo per i prodotti disciplinati a livello nazionale e dal prossimo luglio anche per quelli che recheranno il marchio Ce ai sensi del nuovo regolamento Ue.

Attenzione alle insidie

Non possiamo, tuttavia, trascurare tanti altri ottimi prodotti con funzione di coadiuvanti per la crescita e lo sviluppo delle piante. Generalmente si tratta di prodotti con Iva al 22% la cui descrizione richiama il concetto di biostimolante, anche se tale termine non viene espressamente utilizzato. Diamo qualche consiglio a chi desidera prendere in considerazione qualcuno di tali prodotti.

C’è una norma (Dlgs 206/2005 s.m.i. – codice del consumo) che si applica, appunto, per i prodotti che non sono oggetto di specifiche disposizioni. Trovare in etichetta un riferimento a questa norma è già un segno di accuratezza. Ovviamente il nome dell’azienda e la sua “tradizione” in settori innovativi fanno il resto: si sconsiglia di affidarsi a società poco note, ditte individuali, aziende senza un proprio sito produttivo.

normativa europea

La lettura dell’etichetta non si limiterà a quanto sopra, ma si deve prestare attenzione anche alla composizione, alla qualità delle materie prime utilizzate, alla presenza di indicazioni sui metodi di lavorazione ove questi possano essere determinanti per la qualità. Insomma a tutte le caratteristiche merceologiche che aiutano a comprendere bene di cosa si tratta, come si usa ed a che cosa serve il prodotto.

Attenzione anche a indicazioni troppo generiche e poco circostanziate, relative all’impiego in agricoltura biologica. I biostimolanti sono senza dubbio un’ottima opportunità dal punto di vista tecnico-commerciale, ma le insidie che si nascondono dietro a tale mercato sono altresì fonte di nuove preoccupazioni. Il miglior consiglio resta sempre quello di rivolgersi ad aziende di affermata serietà, conosciute sul mercato anche dagli utilizzatori finali e con una rete di tecnici qualificati a supporto delle vendite.

Torniamo ai biostimolanti del futuro per segnalare che il marchio Ce è garanzia di conformità a norme armonizzate e che la valutazione del prodotto e delle prove agronomiche che lo accompagnano (vedi box a fianco), viene affidata ad organismi di notifica indipendenti a sottolineare il differente approccio sia rispetto ai “generici” sia ai biostimolanti disciplinati solo a livello nazionale.

Occorreranno alcuni anni prima che la diffusione dei biostimolanti sia in grado di condizionare qualità e quantità delle produzioni agricole, ma il loro uso consentirà inevitabilmente di ridurre l’impiego di altri mezzi tecnici con benefici economici e di sostenibilità ambientale.


I biostimolanti nel Reg. Ue 2019/1009

Nel nuovo regolamento troviamo i biostimolanti nell’allegato I, che descrive tutte le categorie funzionali dei prodotti (Pfc) e che, al punto 6 della parte I, divide i biostimolanti in due categorie: microbici e non microbici. I primi sono costituiti da un microrganismo o da un consorzio di microrganismi. Gli altri, semplicemente, comprendono tutti i biostimolanti diversi da quelli microbici come gli estratti vegetali o animali, i derivati da alghe, gli acidi umici e quanto di più innovativo si possa immaginare. Capiamo meglio cosa fanno.

In merito all’efficienza all’impiego dei nutrienti, si tratta della capacità di assorbimento dal suolo, di trasporto, mobilizzazione ed utilizzo di macro, meso e/o microelementi, cioè dei nutrienti disponibili.

Cosa diversa è il miglioramento della disponibilità di nutrienti contenuti nel suolo o nella rizosfera: ci riferiamo a quei nutrienti che vengono “strappati” dal pool dei nutrienti confinati per essere resi disponibili per le colture. Col termine stress abiotico ci si riferisce a temperatura, luce, danni meccanici, eccesso o carenza di acqua, stress chimici (fitotossicità, stress salini, pH).

Relativamente alle caratteristiche qualitative è indispensabile fare una netta distinzione ai miglioramenti dovuti ad esempio all’uso dei fitosanitari. Pertanto, nel caso dei biostimolanti, ci riferiamo a: resa per ettaro, attività fotosintetica, numero di fiori, biomassa, sostanza secca, shelf life, grado brix, uniformità di maturazione, colore, sapore, acidità, contenuto polifenolico, dimensione del frutto e altro ancora.


Quali e quante prove?

Il dossier da presentare all’organismo notificato per la valutazione di un biostimolante deve includere le prove che dimostrano gli effetti (claims) dichiarati in etichetta.

Anche se non ancora ufficiali (a inizio aprile - NdA), le specifiche tecniche prevedono la divisione in tre gruppi di coltivazioni: estensive (cereali, patata, ecc.), frutticole (pomacee, vite, ecc.) e una grande famiglia che include ortaggi, ornamentali, piante officinali, ecc.

Abbiamo illustrato quali sono le rivendicazioni che si possono dichiarare, il numero di prove da effettuare in funzione della coltura (singola o del gruppo) e degli effetti da dimostrare.

Si parte da almeno tre prove necessarie a dimostrare un effetto per una coltura e si arriva a nove prove quando la rivendicazione riguarda tutti e tre i gruppi di colture. Resta inteso che se i claims da includere in etichetta non si riescono a dimostrare nella stessa prova, sarà necessario farne altre (3-6-9) a supporto di ciascun effetto.

Le prove si possono fare in pieno campo, in serra ed in camera climatica, gli organismi di valutazione preferiranno quelle effettuate da centri di saggio, università, centri di ricerca (pubblici e privati) ma sono ammesse prove interne purché sia dimostrabile di aver operato secondo i requisiti richiesti dalle specifiche tecniche.

Biostimolanti, cosa prevede la nuova normativa europea - Ultima modifica: 2022-05-04T17:01:02+02:00 da Lucia Berti

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