In Italia, secondo Aipsa, i terricci e altri substrati di coltivazione rappresentano un giro d’affari di 265 milioni di euro, con un volume di 5 milioni di m3 di materiale l’anno, il più importante in Europa dopo quello della Germania.
La torba è il materiale più usato per le produzioni professionali, con percentuali che variano dal 95% al 30-50% in paesi come Spagna, Francia e Regno Unito. La fibra di cocco è un’alternativa alla torba in Italia, ma incontra difficoltà in altri paesi a causa di un’incertezza nella disponibilità e rischi fitosanitari del prodotto, non sempre adeguatamente lavorato.
Come sostituire la torba
Le fibre di legno sono l’alternativa principale in Spagna e Regno Unito, mentre il compostato verde è prevalente nel settore hobbistico nella maggior parte dei paesi europei. Un buon sostituto della torba dovrebbe avere un costo contenuto, facile disponibilità, stabilità, basso impatto ambientale e caratteristiche fisiche e chimiche ideali per le produzioni in contenitore. Insomma, un “superstrato”.
Ma è la torba, in fondo, il substrato ideale e insostituibile? Se ne potrebbe discutere a lungo: è di certo un materiale che necessita di attenzioni. Per esempio, è necessario correggere il pH affinché molte specie possano essere coltivate. Inoltre, la torba può subire una riduzione di volume e perdita di struttura con importanti variazioni del rapporto macro/microporosità nel medio periodo di coltivazione. Tuttavia, ciò che rende la torba speciale sono la conoscenza e la tecnica agronomica ormai consolidate che si hanno su di essa.
Conoscere per cambiare
Avere un substrato con caratteristiche standardizzate è un obiettivo importante e la torba lo garantisce, a differenza di altri substrati che presentano un materiale di partenza e una lavorazione eterogenei, come nel caso dei compostati verdi. Per questo motivo, una maggiore capacità e flessibilità nella gestione dell’irrigazione e della nutrizione potrebbe favorire l’adozione di nuovi materiali.
Ciò avviene tramite la conoscenza. Conoscenza delle proprietà chimiche e fisiche del materiale con cui si sta lavorando e della tecnologia per il monitoraggio della zona radicale. Insomma, il cambiamento richiede adattamento e innovazione.
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Daniele Massa è direttore del Crea Centro di ricerca Orticoltura e Florovivaismo e presidente della sezione ortoflorovivaismo della Soi, società italiana di ortoflorofrutticoltura.