Il 2015, ancora una volta, si presenta come un’annata caratterizzata da un andamento climatico anomalo. L’inverno, come nel 2014, è stato mite. Poi c’è stato un inizio di primavera di tipo tradizionale subito seguito dal prevalere di condizioni meteo dominate dall’alta pressione di matrice nordafricana. Ciò si è tradotto in una serie di ondate di caldo precoci, a partire dalla seconda metà di giugno, inizi di luglio, che hanno portato ad un generalizzato innalzamento delle temperature. I periodi fra la metà di giugno e la metà di agosto al Nord e settembre inoltrato al Centro Sud sono stati i più caldi e meno piovosi registrati. Secondo le rilevazioni disponibili, al secondo posto dopo il 2003, anche se la durata è stata nettamente più breve. In seguito, però, il rientro dei valorielle medie stagionali, in particolare al Nord, è stato molto veloce traducendosi in una rapida fine dell’estate e in un inizio d’autunno nella norma. Il passaggio è stato accompagnato da violente ondate di maltempo con eventi estremi e forti precipitazioni dopo un’estate siccitosa. L’andamento climatico in Italia è stato condiviso da gran parte dell’Europa centro-meridionale confermando le previsioni formulate in relazione al verificarsi di “ El Nino” in Oriente.
La dinamica produttiva
Questo caldo 2015 si inserisce in un quadro in cui gran parte delle colture, incluse le angurie, sono stazionarie o in lieve, ma costante flessione. Le anticipazioni sulla campagna confermano questa tendenza e indicano che superficie e produzioni sarebbero circa allineate a quelle del 2014 che ha segnato un certo arretramento rispetto al 2013, pur superando l’anno più negativo e cioè il 2012 (fig. 1). I circa 9.500 ha e le 363mila t della produzione di pieno campo dello scorso anno costituiscono il secondo peggior risultato dell’ultimo quinquennio e riconducono ai valori del 2007 e del 2008. Le condizioni meteo, sia lo scorso anno sia in questo, hanno ridotto le rese produttive, un fatto evidente specie nelle aree settentrionali a cui si è dovuto fare fronte con un’intensificazione delle attenzioni colturali che si è ripercossa sui costi. La produzione in serra si presenta, al contrario, più stabile e, negli ultimi tre anni in tendenziale crescita (fig. 2). La superficie nel 2014 si avvicina ai 2mila ha, superando la media dei tre anni precedenti di circa 1.500 e la produzione arriva a 90mila t, circa un quarto di quella di pieno campo. Un importante segnale dell’interesse degli agricoltori verso le angurie, anche grazie ai rapporti commerciali instaurati con gli acquirenti e ai tentativi di diversificazione e qualificazione dell’offerta realizzati anche con l’innovazione varietale.
Distribuzione territoriale
I dati relativi al 2014 indicano che la superficie torna ad espandersi al Sud, mentre è in contrazione al Nord e stazionaria al Centro. La coltura in pieno campo per il 53% è localizzata nelle aree meridionali guadagnando una decina di punti percentuali rispetto all’anno di minimo e cioè il 2012, al Centro è stabile al 15% mentre al Nord scende al 32% dal precedente 43% (fig. 3)
Allo stesso modo la superficie in serra sale nel Meridione al 66% guadagnando 15 punti, al Centro scende al 29% dal 35% e al Nord al 5% dal14% (fig. 4). Questi movimenti omogenei fra i due tipi di coltivazione indicano un ritorno ad una ripartizione tradizionale delle superfici fra le differenti circoscrizioni che consolida il primato di quella meridionale. A favore di quest’ultima giocano i minori costi energetici per quanto riguarda le serre e in generale l’andamento climatico. Mentre la dinamica della domanda, sia per il consumo più legato alla stagionalità sia per quello connesso alla ristorazione e alla preparazione di frutta per la IV gamma è più omogenea.
Scambi commerciali
La dinamica degli scambi con l’estero, pur sorretta da forze esterne specifiche relative all’evoluzione dei consumi in genere, è fortemente connessa all’andamento del comparto e delle variabili che animano offerta e domanda. Il trend principale degli ultimi cinque anni è orientato ad una crescita moderata degli scambi che rimangono attorno a una media di 40mila t/anno per quanto riguarda le importazioni e di 180mila per le esportazioni (fig. 5). La provenienza delle importazioni è prevalentemente comunitaria, con oscillazioni annuali ampie in relazione alle condizioni dell’offerta, e costituiscono circa il 20-25% del totale a seconda delle annate. La principale provenienza è quella greca.
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