Un'occasione per fare il punto a tutto campo sull'ortaggio più conosciuto di Sicilia. Dalla sostenibilità del processo produttivo alla differenziazione del prodotto, dal riconoscimento del potenziale nutraceutico alle nuove certificazioni in campo.
Sono stati questi i temi trattati in un workshop svoltosi il 12 ottobre a Portopalo di Capo Passero, nel siracusano. Nello specifico in quell'area, che ha come capitale ideale Pachino, che ha eletto il tipico pomodoro prodotto di eccellenza nell'Italia e nel mondo.
La valorizzazione nutrizionale
Un filone dell'evento ha riguardato l'aspetto nutrizionale del pomodoro di Pachino.
La prof.ssa Valeria Sorrenti, associato di biochimica dell'Università di Catania, ha parlato proprio dei composti bioattivi presenti nel pomodoro.
«Numerose evidenze scientifiche riportano molteplici effetti benefici del licopene, inclusa una possibile attività antitumorale. Il licopene è molto abbondante nella buccia del pomodoro, che insieme ai semi viene di solito scartata dalla lavorazione. In un'ottica di economia circolare – ha spiegato Sorrenti – è fondamentale il recupero di questi scarti per lo sviluppo di prodotti funzionali a elevato valore aggiunto, da impiegare anche in nutraceutica».
Successivamente il prof. Fabio Galvano, ordinario di alimentazione e nutrizione umana a Catania, ha spiegato come il pomodoro di Pachino possa puntare alla valorizzazione, ma per farlo non può prescindere dall'identificazione di differenziali di qualità nutrizionale.
«Ad oggi questi differenziali non sono ancora noti e l'esempio dell'arancia rossa può essere un caso a cui ispirarsi, anche se potrebbero non esserci le risorse che ci furono allora per eseguire gli studi completi, anche sugli umani» ha detto Galvano.
Dalla sostenibilità del processo alla qualità del prodotto
Dopo vent'anni dal riconoscimento del pomodoro di Pachino da parte dell'Ue, con 1500 ettari di superficie protetta, 10 milioni di chili prodotti in un anno con 20 milioni di fatturato e 5000 addetti nella filiera, il pomodoro riparte dai punti di forza dati dal contesto in cui viene coltivato e punta alle certificazioni di sostenibilità.
Il dott. agr. Sebastiano Barone, del consorzio di tutela della Igp, ne ha tracciato la strada: «Puntiamo prima di tutto alla certificazione Sqnpi, che è a portata di mano dato che molte azioni richieste per ottenerla sono già nel nostro disciplinare.
La nostra serricoltura è caratterizzata da una bassissima emissione di anidride carbonica, dato che utilizziamo la tipica serra fredda mediterranea. La luce aiuta, poiché a Pachino ci sono i livelli di insolazione più alti d'Europa. Per questo vorremmo ottenere la certificazione Carbon Footprint.
E infine c'è il sistema BlockChain, con cui è possibile attuare un sistema di tracciabilità, chiamato "a blocchi". Il sistema serve a digitalizzare e a certificare tutto il processo produttivo, dal trapianto al confezionamento nei centri di condizionamento» ha concluso Barone.
A conferma della relazione di Barone si possono citare quelle del prof. Cherubino Leonardi, responsabile del dipartimento orticoltura dell'Università di Catania: «La qualità, seppur indiscutibile, del prodotto non può essere ormai disgiunta dalla sostenibilità di processo. Lo chiede il consumatore».