L'agrivoltaico nasce con lo scopo di conciliare l’attività agricola con l’ottenimento di energia. A tal fine occorre individuare quel compromesso che permetta di mantenere elevata la produttività delle colture consentendo al contempo di sfruttare l’irraggiamento solare per produrre energia.
La realizzazione di un impianto in località Monforte, in Sicilia al confine fra le provincie di Catania e Siracusa, di grandi dimensioni (500 ha), è sicuramente un’occasione per individuare soluzioni sostenibili per l’inserimento di un impianto agri-voltaico nell’ambiente.
A tal fine particolare attenzione è stata posta in fase progettuale, definendo le caratteristiche dei tracker (altezza e distanza) e soprattutto l’inserimento paesaggistico (è stato realizzato un impianto a macchia di leopardo, prevedendo misure di mitigazione, come aree di rispetto e laghetti collinari).
A tutto questo si è affiancata, grazie a una specifica convenzione fra la ditta GreenGo, responsabile dell’impianto, e il Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente dell’Università di Catania, un’intensa attività sperimentale di supporto per meglio individuare buone pratiche, capaci di ridurre ulteriormente l’impatto dell’impianto.
Gli impianti agrivoltaici
L’energia solare ricevuta dalla Terra in un giorno (120.000 Terawatt) ha la capacità di soddisfare la domanda globale di energia per 20 anni. Questo potenziale assume interesse, per lo sfruttamento fotovoltaico, soprattutto nei luoghi con un elevato numero di ore di luce diurna e un’elevata irradianza giornaliera, come avviene in Sicilia.
Gli impianti realizzati per intercettare la radiazione luminosa per l’ottenimento di energia elettrica contendono all’agricoltura quello spazio che diventa sempre più vitale, a causa dell’incremento della popolazione mondiale – si stima che raggiungeremo i 9,6 miliardi nel 2050 – e dei cambiamenti climatici che danneggiano e lo faranno ancora di più in futuro, per effetto degli stress abiotici, le produzioni agricole, per cui vi è l’esigenza di risolvere la competizione per l’uso del suolo tra produzione alimentare e quella energetica.
L’idea di combinare l’attività agricola e lo sfruttamento dell’energia solare in un sistema agri-voltaico è stata proposta per la prima volta nel 1982 da due scienziati tedeschi (Goetzberger e Zastrow), ma solo di recente diversi paesi del mondo, come Cina, Francia, Germania, Giappone, Italia, hanno iniziato a sviluppare questi sistemi.
Uno dei fattori chiave, che influenza la produzione agricola, è il livello di ombreggiamento determinato dalle caratteristiche dell’impianto, che influenza le rese e che dipende dall’irraggiamento disponibile della zona in cui l’impianto stesso è collocato.
La normativa
La categoria degli impianti agrivoltaici ha trovato una recente definizione normativa in una fonte di livello primario che ne riconosce la diversità e le peculiarità rispetto ad altre tipologie di impianti.
L’articolo 31 del D.L. 77/2021, convertito in legge dalla 108/2021, anche definita governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure, ha introdotto, al comma 5, una definizione di impianto agri-voltaico che, per le sue caratteristiche utili a coniugare la produzione agricola con la produzione di energia green, è ammesso a beneficiare delle premialità statali.
La definizione dice che quelli agri-voltaici devono essere impianti che “adottino soluzioni integrative innovative con montaggio di moduli elevati da terra, anche prevedendo la rotazione dei moduli stessi, comunque in modo da non compromettere la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale, anche consentendo l’applicazione di strumenti di agricoltura digitale e di precisione”.
Alcuni dei nuovi impianti, in particolare, prevedono altezze delle strutture pari a circa 3 metri con altezza minima da terra (a inclinazione massima del modulo montato su tracker) di circa 2,4 metri. Tale altezza permette la coltivazione delle intere superfici interessate dall’impianto e la gestione del campo con le consuete pratiche e macchine agricole.
La necessità di sperimentare
La sperimentazione diretta, a causa della recente diffusione di queste strutture, non è molto ampia e spesso localizzata in nazioni non favorite dall’irraggiamento, come Usa e Germania. Spesso, inoltre, questi studi sono relativi a prove di ombreggiamento realizzate ponendo sulla coltura teli ombreggianti omogenei e che quindi non tengono conto delle particolari condizioni operative degli impianti, che determinano coni d’ombra parziali, talvolta modificabili nel corso della giornata, come avviene con l’impiego di pannelli mobili a inseguimento solare.
Per far sì che un impianto agri-voltaico funzioni, occorre definire bene quali siano l’altezza e la distanza ottimali fra i pannelli.
La distanza tra le file, fattore principale nel compromesso tra resa elettrica e agricola, non solo influisce sulla redditività complessiva, ma solleva anche questioni etiche, come la quantità di perdite di resa che la società è disposta ad accettare. In molti Paesi (es. Germania, Giappone) ci si è posti l’obiettivo di assicurare l’80% della resa ottenuta con colture non ombreggiate.
La distanza ottimale, per raggiungere questi obiettivi, è funzione delle condizioni ambientali. Un altro aspetto critico è la scelta delle colture: specie ben adattate all’ombra e che rispondono con una maggiore produzione di biomassa vegetativa sono più idonee; è questo il caso di ortive da foglia, come cavoli e lattuga o alcuni piccoli frutti, mirtilli e more, adatti a bassi livelli di intensità luminosa.
La tecnica colturale nell’agrivoltaico
La tecnica colturale in questi impianti dev’essere adattata, in particolare per consentire l’accesso delle macchine agricole, per cui i pannelli devono essere posti a una distanza opportuna. Tuttavia, una certa perdita di aree di produzione è inevitabile per l’ingombro delle strutture, che è almeno del 2% delle superfici. Occorre poi tenere conto della modifica delle condizioni microclimatiche.
Anche se la riduzione della radiazione solare è il cambiamento più evidente, molti altri fattori microclimatici possono variare, quali temperatura dell’aria, umidità, velocità e direzione del vento, temperatura e umidità del suolo, temperatura a livello della pianta e deficit di tensione di vapore. Un’altra modifica importante riguarda l’acqua e l’umidità relativa.
L’uso di un impianto a pannelli solari modifica la distribuzione dell’acqua meteorica che, nelle parti più esposte, può aumentare il rischio di erosione del suolo, mentre in quelle più riparate a una minore disponibilità di acqua. Il bilancio idrico nel suo complesso viene modificato. Uno studio di Marrou e altri, nel 2013, ha riportato che l’evapotraspirazione si modifica con un risparmio idrico del 14-29%; l’effetto dipende dalla specie coltivata, poiché l’evaporazione è influenzata dal tasso di copertura delle colture. Sotto l’impianto, tale indice è aumentato per la lattuga e diminuito per il cetriolo.
In ogni caso è importante definire le caratteristiche dell’impianto, che si deve adattare alle condizioni ambientali e alle colture, e modificare le stesse pratiche colturali per renderle più compatibili alle condizioni determinate dalla struttura. Solo, però, la sperimentazione in condizioni operative, valutando insieme, con indagini multidisciplinari, gli esiti agronomici ed energetici degli impianti in situazioni reali potrà accrescere il livello delle conoscenze e consentire di normare le caratteristiche degli impianti agri-voltaici.
L’impianto agrivoltaico di Monforte
In quest’ambito, la prevista realizzazione di un impianto agri-voltaico in Sicilia, a Monforte, una località prossima a Vizzini al confine tra le province di Catania e Siracusa, è un interessante caso di studio. L’impianto agri-voltaico che sarà realizzato appare molto complesso, in quanto si svilupperà a macchia di leopardo su un’area di circa 500 ha, di cui solo la metà sarà occupata dai tracker, mentre le altre aree saranno destinate a interventi di mitigazione (aree boschive e di rinaturalizzazione, laghetti collinari), attività didattica e per il tempo libero (centro di accoglienza, percorsi ciclopedonali, punti di sosta ecc.).
Contemporaneamente alle specifiche attività connesse alla produzione di energia pulita, che permetterà di evitare l’immissione in atmosfera di CO2, SO2, NO2, CO, saranno portate avanti le attività agricole tipiche della zona insieme ad altre coltivazioni che le mutate condizioni ambientali renderanno possibili. In tal modo, non solo verrà garantita la continuità con la tradizione agricola dei luoghi, ma si avrà anche la possibilità di condurre attività di ricerca.
In relazione a quest’ultima, il Dipartimento di agricoltura, alimentazione e ambiente (Di3a) dell’Università degli Studi di Catania ha sottoscritto una convenzione con la società GreenGo, finalizzata all’avvio di specifiche attività di indagini e sperimentazioni. La convenzione servirà a individuare soluzioni da adottare per il miglior inserimento di impianti fotovoltaici nell’ambiente, che rappresentino delle buone pratiche da diffondere.
Attualmente è in corso di attuazione il monitoraggio dei dati microclimatici, grazie all’installazione di una apposita stazione di misura, che servirà a monitorare i cambiamenti indotti dall’impianto agri-voltaico quando entrerà in funzione.
Piante officinali
Al contempo sono in corso delle prove per meglio individuare le possibili colture che potranno affiancare quelle tradizionali presenti nell’area. L’attenzione, in particolare, si è focalizzata sulle piante officinali.
Fra i punti di forza dell’inserimento in coltura di queste piante, anche in considerazione delle caratteristiche del sito, vi è il grande patrimonio di esperienze e tradizioni, la possibilità di ottimizzare le conoscenze, la grande ricchezza di specie officinali rispetto al totale delle specie spontanee, la grande richiesta di prodotti per la salute a base di officinali, il loro inserimento nei cibi funzionali, alimenti arricchiti, alimenti a fini medici speciali, integratori alimentari, oltre la possibilità di utilizzare tali prodotti nella conservazione di alimenti, ma anche per disinfettare in maniera naturale i bancali di preparazione dei cibi.
Di contro, occorre richiamare la necessità di realizzare una filiera produttiva, che vada dalla produzione alla prima trasformazione, per aumentare la possibilità di collocare con successo il prodotto sul mercato.
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Contributo realizzato a cura della della sezione Ortoflorovivaismo della Soi