Negli ultimi anni, complice l’ascesa del prezzo del petrolio, si è assistito sempre più alla ricerca da parte di aziende produttrici di materie prime per filmatura di alternative al classico e oramai obsoleto polietilene.
«L’orientamento, – ci riferisce Arcangelo D’Isidoro tecnico del settore – è stato verso i biopolimeri cosi da svincolarsi dal prezzo del petrolio e sicuramente anche da un approccio verso la tutela del territorio e dell’ambiente»>.
Inizialmente come materia prima si era scelto la cellulosa, per facilità di lavorazione industriale e per la sua spiccata biodegradabilità. La troppo rapida degradabilità della cellulosa ha fatto poi orientare la ricerca verso i derivati di amido di mais.
«Oggi, continua il nostro interlocutore, la quasi totalità del materiale impiegato è amido di mais. Questo materiale ha come pregio la possibilità di essere prodotto senza grandi difficoltà e con buon livello di standardizzazione a livello industriale e una degradabilità sufficiente a garantire il ciclo della coltura che si intende pacciamare. L’unico limite è rappresentato dal costo, ancora un po’ elevato. Naturalmente, se ci fossero più ettari investiti probabilmente quest’ultimo scenderebbe».
Non ci sono differenze d’impiego in orticoltura e floricoltura, mentre la dotazione di sostanza organica del terreno potrebbe creare differenze (seppur minime) di degradabilità.
«Attualmente l’impiego è esclusivo per la pacciamatura, ma è in fase di studio il possibile impiego per la copertura delle serre».
La scelta dei film plastici in agricoltura biologica segue sostanzialmente due strade, da una parte ci sono aziende che utilizzano il polietilene dovendo poi dimostrare lo smaltimento del materiale plastico di risulta, altre aziende utilizzano i biodegradabili per ovviare al problema dello smaltimento e per una più sentita coscienza ecologica. «Il film bio si utilizza con successo anche nel convenzionale, aggiunge D’Isidoro, poiché si evita di dover a fine ciclo eliminare dal terreno il film stesso con notevole aggravio del costo della manodopera, ovviamente anche per i problemi connessi allo smaltimento».
Si opta per il film da pacciamatura (polietilene o bio) per la selettività nei confronti delle erbe infestanti, per l’anticipo di produzione e perché consente di ottenere una produzione qualitativamente superiore, oltre che per una migliore gestione delle risorse idriche e dei fertilizzanti.
«Ad esempio, – spiega D’Isidoro – per la fragola la pacciamatura è indispensabile, il frutto marcirebbe a contatto con il suolo, per pomodoro o peperone la scelta può essere invece condizionata da fattori aziendali (terreno con molte infestanti, o freddo) o da fattori imprenditoriali (migliore produttività e qualità)».
Oggi la differenza di prezzo per metro-quadro pacciamato è di circa il 20% in più per il bio.
«Tuttavia, precisa il tecnico, credo che il maggior costo iniziale per l’acquisto del prodotto venga ampiamente compensato dai mancati costi per la raccolta e lo smaltimento del prodotto in polietilene».