In questo mese si vanno completando i trapianti delle colture ortive a ciclo autunnale (cavoli, lattughe, ecc.) e della fragola. Per la loro gestione fitosanitaria, la prima regola da seguire è quella di cercare di trapiantare “materiale sano in terreno sano”; vanno applicate quindi tutte le possibili misure preventive di buona pratica fitosanitaria, a partire dalla esclusione di terreni che possono già avere una elevata carica di patogeni difficilmente controllabili.
Per quanto riguarda la sanità delle piantine da trapiantare, la normativa nazionale (il primo Decreto ministeriale che norma la materia, in recepimento ad un’apposita direttiva comunitaria, risale ormai al lontano 14/4/1997) prevede sostanziali garanzie a tutela dell’agricoltore. I vivaisti ortivi per commercializzare i loro prodotti, infatti, devono essere “accreditati” dal Servizio fitosanitario regionale di competenza il quale, preventivamente, accerta il soddisfacimento di requisiti minimi di professionalità e di idoneità delle strutture. Il vivaista, inoltre, è tenuto a garantire che il materiale commercializzato sia esente da patogeni o parassiti che ne compromettano la qualità (riportati in un allegato del D.M. 14/4/1997, periodicamente aggiornato) e che la varietà sia effettivamente quella dichiarata.
Sebbene la normativa sia in vigore da quasi venti anni, ancora non tutti gli agricoltori sono sufficientemente informati su quali siano le garanzie e soprattutto i documenti che il vivaista deve fornire al momento della vendita del materiale da trapianto.
Le piantine
Quando si ritirano le piantine, va sempre richiesto e controllato il “documento di commercializzazione” che attesta l’accreditamento del vivaista e che deve riportare, oltre alla dicitura “qualità C.e.”, l’indicazione della specie e della varietà. Il materiale vivaistico sprovvisto di tale documentazione non può essere commercializzato e non dà alcuna garanzia né genetica né fitosanitaria.
La sanità del terreno è un’altra condizione indispensabile alla buona riuscita delle colture ortive. La rotazione con colture non ortive è sempre raccomandabile perché evita l’accumulo eccessivo di cariche di inoculo di patogeni o parassiti nel terreno. Tale pratica, tuttavia, non sempre è economicamente proponibile, soprattutto nei comprensori ad orticoltura intensiva. Inoltre, funghi terricoli quali Verticillium dahliae, Fusarium spp., Rhizoctonia spp. sono difficilmente eliminabili mediante rotazioni anche lunghe poiché sono ampiamente polifagi o differenziano strutture di resistenza particolarmente efficienti.
Nei terreni dove l’agricoltura è intensiva ed i cicli di coltivazione sono brevi, come le serre fisse o le colture protette con tunnel in ferro e plastica, è sempre possibile ricorrere a interventi chimici (fumigazione, ecc.), biologici (biofumigazione, distribuzione di microrganismi antagonisti) o fisici (solarizzazione, ecc.) contro i patogeni o i parassiti del terreno. Tuttavia i prodotti chimici fumiganti, come riportato altre volte su questa rubrica, sono sempre più limitati sia nel numero che nelle possibilità di applicazione (la disponibilità di fumiganti è attualmente limitata al dazomet, al metam sodio, al metam potassio. La cloropicrina ed il nematocida 1,2, revocati da diversi anni, hanno ottenuto anche nel 2015 il permesso di uso in deroga ma solo per casi “di emergenza” limitati a qualche coltura).
Pieno campo
In pieno campo, dove il costo di applicazione di alcuni prodotti fumiganti li rende antieconomici, in presenza di patogeni del suolo potrebbe essere più razionale e conveniente evitare di impiantare colture sensibili per qualche anno applicando pratiche agronomiche e scegliendo colture non suscettibili che possono contribuire a ridurre la carica di inoculo di patogeni.
Prima del trapianto delle giovani piantine di vivaio occorrerà valutare anche se effettuare o meno trattamenti preventivi contro alcuni patogeni ad habitus terricolo. Attualmente sono disponibili diversi prodotti a base di microrganismi antagonisti (es, Trichoderma spp.) che possono essere somministrati direttamente alle radici delle piantine da trapiantare o distribuite nel terreno prima del trapianto e nelle prime fasi di crescita. I microrganismi antagonisti colonizzano la rizosfera delle piantine rendendole più resistenti all’attacco di funghi del terreno che contrastano sia attivamente, con la produzione di metaboliti tossici, sia “occupando” la nicchia ecologica altrimenti colonizzabile dai patogeni.
Le batteriosi del fagiolo
La maculatura alonata (indotta da Pseudomonas syringae pv. phaseolicola) e la maculatura comune (indotta da Xanthomonas campestris pv. phaseoli) sono le principali malattie batteriche del fagiolo. Entrambe sono endemiche nelle aree di coltivazione del fagiolo ed il loro controllo è basato su misure piuttosto simili.
P.s. pv. phaseoli induce sulle foglie piccole macchie angolari idropiche che necrotizzano, circondate da un alone clorotico; sui baccelli aree rotondeggianti idropiche simili a quelle fogliari; sui semi l’eventuale comparsa di aree decolorate evidenti soprattutto su quelli bianchi. I sintomi indotti da P.s. pv. phaseolicola si differenziano da quelli dovuti a X.c. pv. phaseoli soprattutto per la presenza, nel primo caso, di un vistoso alone clorotico intorno alle aree infette sulle foglie e sui baccelli.
X.c. pv. phaseoli induce sulle foglie ampie lesioni necrotiche contornate da un sottile bordo giallo. Sui baccelli le macchie sono più piccole di quelle dovute a P.s. pv. phaseoli, infossate e con un contorno rosso-mattone. X.c. pv. phaseoli può invadere sistemicamente la pianta spostandosi lungo i vasi e infettare “dall’interno” il seme, al contrario di P.s. pv. phaseoli che è solo in grado di contaminarlo. Per questo X.c. pv. phaseoli è un patogeno da quarantena, con misure di lotta obbligatoria.
Entrambi possono sopravvivere sui residui colturali infetti, su piante non ospiti o conservarsi sui semi infetti o contaminati. L’infezione può avvenire mediante le piogge o l’acqua di irrigazione. Lo sviluppo delle due malattie batteriche è favorito da alta umidità relativa e da temperature non elevate.
La lotta è essenzialmente preventiva: uso di seme sano, rotazioni di 2-3 anni, impianti irrigui non ad aspersione. L’unico prodotto chimico consentito è il rame che andrà utilizzato con criteri preventivi di copertura, facendo attenzione al rischio di fitotossicità ed al rispetto dei tempi di carenza.