Nelle schede colturali dei manuali di orticoltura di solito l’origine botanica di una specie e la sua area di differenziazione sono collocate all’inizio del primo capitolo e spesso vengono saltate dai lettori, in quanto considerati argomenti “minori”. È un errore, ovviamente, perché questa informazione contiene già molte indicazioni su come ottimizzare le tecniche di coltivazione di una specie.
Il peperone ha due aree di differenziazione fondamentali: una in India (Capsicum frutescens) e una in Centro-Sud America (C. annuum). Dalla seconda derivano le principali varietà a frutto grosso e squadrato oggi coltivate.
Come noto , è una Solanacea, strettamente imparentata con il pomodoro. L’areale di origine è molto simile, ma l’habitat di crescita è assai diverso, quindi ne va tenuto conto anche nel processo di ottimizzazione delle tecniche colturali. Il peperone, infatti, si è adattato in natura a colonizzare ambienti leggermente più caldi e umidi del pomodoro, quindi con minori fluttuazioni del contenuto idrico del suolo e ritmi di crescita più lenti.
Ne dobbiamo pertanto tener conto, soprattutto in coltura protetta: il peperone ha un apparato radicale più superficiale e delicato; è più sensibile a ferite e attacchi crittogamici al colletto; gradisce un copertura fogliare molto alta e costante; il clima della serra deve essere più caldo-umido e stabile; anche il regime idrico e la salinità del substrato devono essere più costanti.
Il fattore chiave per il successo di una coltura di peperone, soprattutto delle varietà a frutto grosso e squadrato, è sicuramente la potatura, che richiede molta perizia e anni di esperienza. Questo spiega, ad esempio, perché in Olanda, Paese leader al mondo per l’orticoltura protetta ad alta tecnologia, sia facile oggi trovare serre di pomodoro fino a 30-40 ha, mentre i coltivatori di peperone hanno quasi tutti dimensione familiare (2-4 ha) e cercano di ricorrere il meno possibile a manodopera esterna. L’addestramento alla potatura del pomodoro di un nuovo operaio, infatti, richiede ca. 3 mesi, mentre si dice che una vita non basta per diventare maestri nel peperone.
In una frase sola potremmo dire che il peperone “adora la tranquillità”: variazioni il più possibile lente sia del clima, che del regime idrico e nutrizionale del suolo, che dell’equilibrio vegetativo e riproduttivo, guidato dalla potatura. Il concetto si potrebbe sintetizzare anche con un’altra indicazione pratica. Nel pomodoro: fai ieri quello che avresti dovuto fare oggi. Nel peperone: rimanda sempre a domani quello che potresti fare oggi. È per questo che i coltivatori di pomodoro olandesi prendono in giro i colleghi del peperone bollandoli come “easy growers”, ovvero agricoltori che se la possono prendere comoda. Sono solo battute, ma esprimono in modo colorito anche differenze sostanziali di tecnica colturale.
Passiamo rapidamente in rassegna le principali tecniche di coltivazioni ottimali del peperone.
Clima e nutrizione
Clima caldo e umido, dunque. Se il pomodoro a frutto grosso può allegare facilmente anche a 12-13 °C di notte, mentre le varietà cherry arrivano fino a 7-9 °C, il peperone gradisce minime superiori a 16-17 °C, ottimali attorno a 18-19 °C. Lo stesso dicasi per la temperatura diurna ideale (25-27 °C, contro i 23-24 °C del pomodoro) e la temperatura media delle 24h (18,7-19,3 °C, contro 18,2-18,6 °C).
Il peperone è anche più resistente alle massime: fino a 35-37 °C non si osservano problemi rilevanti, mentre la maggior parte delle varietà di pomodoro va in crisi già a 32-34 °C, soprattutto la vitalità del polline.
Ancora più importante, però, è l’umidità relativa dell’aria, che non dovrebbe mai scendere di giorno al di sotto del 75%, ideale 78-82%. Da evitare pure le correnti d’aria, quindi le finestre di aerazione della serra vanno gestite con più cautela di altre specie. Questo spiega perché talvolta i tunnelloni alti 3,5-4 m al colmo, privi di finestrature, funzionino meglio di serre tecnologiche, nel caso l’agricoltore non conosca bene la tecnica di climatizzazione.
Il differenziale di temperatura giorno/notte (Dt), che di solito viene indotto per aumentare l’attitudine generativa, mentre nel pomodoro a frutto piccolo può arrivare fino a 10-12 °C, nel peperone deve essere pure più contenuto (6-8 °C).
Valori ottimali o critici di temperatura e umidità, in tutte le specie orticole da frutto, sono sempre riferite agli organi e alle fasi fenologiche più delicate, ovvero la produzione di polline e l’allegagione dei fiori. Nel caso del peperone la presenza di pronubi non è indispensabile in moltissime varietà, ma è sicuramente utile: l’introduzione di arnie di bombi, oltre a migliorare l’impollinazione, contribuisce soprattutto a rendere più omogenea e contemporanea l’allegagione, quindi anche il ritmo di crescita e raccolta. In alcune serre si usano anche le api.
Densità colturale
Il clima ottimale di una serra si determina anche con la giusta densità colturale e distribuzione spaziale delle piante. Nel caso del peperone, più che di piante/m2 è corretto parlare di branche/m2. La specie produce, di solito, una prima biforcazione a 3 branche, quindi una crescita dicotomica delle stesse. Nelle due forme di allevamento fondamentali, “olandese” o “spagnola”, si lasciano crescere, rispettivamente, solo 2 o tutte e 3 le branche (esistono anche forme intermedie, quali prima potatura a 2 branche e poi a 4, etc.), quindi si avrà una densità iniziale di ca. 3-3,5 piante/m2, ma la densità di branche/m2 ottimale sarà sempre 6,5-7,5.
Determinata la giusta densità di branche/m2, in base alla varietà, alla pezzatura dei frutti, alla disponibilità di radiazione fotosintetica, etc., è importante anche la distribuzione spaziale. Il peperone si avvantaggia del sistema a fila binata, in quanto si riduce la distanza tra le piante tra le bine e sui corridoi di servizio. La circolazione d’aria sarà minore e, di conseguenza, l’umidità relativa più alta e stabile.
Gli stesi criteri valgono anche per la gestione della nutrizione idrica e minerale. Il peperone, come già accennato, ha un apparato radicale più superficiale e delicato di altre solanacee, quali il pomodoro e la melanzana, quindi teme sia gli sbalzi di contenuto idrico del substrato, sia di salinità della soluzione circolante.
L’attività traspiratoria si concentra di più nelle ore centrali della giornata, quindi la prima irrigazione va in genere ritardata e l’ultima anticipata, rispetto al pomodoro. Da evitare soprattutto i ristagni idrici al colletto, che favoriscono gli attacchi di Rhizoctonia.
Per quel che riguarda la salinità (E.C.=elettro-conduttività), sia della soluzione nutritiva erogata, che di quella circolante nel substrato, il peperone gradisce livelli medio-bassi, ovvero 2,0-2,5 mS di EC al gocciolatore, nel caso di coltura a terra, mentre in coltura fuori suolo si usano in genere soluzioni da 2,5-2,8 mS al gocciolatore, per ottenere ca. 3,0-3,7 nel substrato (o nel drenaggio).
Oscillazioni eccessive di EC nella rizosfera determinano facilmente casi di marciume apicale dei frutti, mentre un’oscillazione ciclica di tale EC, opportunamente programmata, può essere utilizzata per favorire alternativamente una maggiore allegagione o una maggiore crescita dimensionale dei frutti.
Tecniche colturali
Le “buone pratiche colturali” del peperone iniziano già in vivaio. Anche in questa fase gradisce clima caldo-umido, contenuto idrico e salinità del substrato costanti.
La specie è molto sensibile alle malattie radicali, soprattutto del colletto, in particolare alla Rhizoctonia. La causa è dovuta alla precoce lignificazione dei tessuti alla base del fusto, i quali diventano molto rigidi e si spaccano, in caso di emissione di radici avventizie nell’interfaccia substrato/aria, quando vi è ristagno idrico o eccesso di umidità attorno al colletto.
In questo caso si può prevenire il problema già in vivaio: negli ultimi giorni prima del ripicchettamento (trasferimento della piantina dall’alveolo di semina al contenitore definitivo, ovvero cubo o vasetto) si provoca deliberatamente una leggera eziolatura (“filatura”) delle piante. I tessuti del fusticino si ammorbidiscono e quindi è possibile trapiantare l’alveolo con una rotazione di 90°, affondandolo nel contenitore definitivo. In questo modo l’emissione di radici avventizie non produrrà ferite che possono aprire il varco alla Rhizoctonia.
Recentemente si sta diffondendo anche la buona pratica dell’innesto su piede resistente. Purtroppo non sono ancora disponibili sul mercato portainnesti collaudati come in altre colture (pomodoro, melone, cocomero, etc.), per cui la tecnica non decolla, ma la ricerca di tutte le maggiori ditte sementiere è molto attiva, quindi ci aspettiamo soluzioni valide in breve tempo.
La tecnica colturale più importante nel peperone, come già premesso, è tuttavia la potatura verde, con la quale si selezionano, ad ogni divisione dicotomiale, sia i germogli destinati a proseguire la crescita, in genere i più vigorosi, sia la superficie fogliare. Ad ogni nodo viene prodotta normalmente una sola foglia, talvolta due, ma se ne possono far crescere anche sui germogli meno vigorosi: invece che essere rimossi del tutto, possono essere cimati a 1 o 2 nodi. Le foglie prodotte da questi nodi possono contribuire ad aumentare il L.A.I. (Indice di superficie fogliare), se necessario, ma su questi nodi si possono allevare anche nuovi frutti, oltre a quelli prodotti sui nodi principali delle branche maggiori, in caso di maggiore disponibilità di fotosintetati.
Da questo si evince che la potatura del peperone è una vera e propria arte, che richiede anni di esperienza per raggiungere livelli di eccellenza. Nel caso del pomodoro, infatti, una volta pianificate le modalità di sfemminellatura e defogliazione, conta solo la velocità, quindi si dice “meno l’operaio pensa, meglio è”, ovvero aumenta velocità e rendimento. Nel peperone, invece, è necessario riflettere su ogni singolo germoglio o foglia che si decide di tenere o rimuovere.
Il principale obiettivo della potatura è di equilibrare continuamente carico di frutti e superficie fogliare. In caso sia di eccessiva, che di insufficiente carica di frutti, la pianta reagisce generalmente con aborti fiorali ripetuti. A sua volta l’aborto dei fiori di un “palco produttivo” (“fruit flush”) genera uno squilibrio vegetativo-generativo, che si può ripercuotere anche sui 2-4 “flush” successivi: la pianta si svuota di frutti e può essere necessario fino a un mese per bilanciarla di nuovo.
Scottature e marciume
I frutti del peperone, fino allo stadio di “maturazione verde”, sono anche molto sensibili alle scottature, per cui la selezione di germogli e foglie deve seguire anche il criterio di “rivestire” continuamente i frutti. Solo se il frutto intercetta la luce diretta del sole già dalle prime fasi dopo l’allegagione può resistere alle scottature.
Una scarsa copertura fogliare, assieme a bassa umidità relativa dell’aria e alta salinità del substrato, è spesso anche concausa di una delle più diffuse fisiopatie del peperone, ovvero il marciume apicale.
Vista la rigidità del fusto, è molto importante pure utilizzare sistemi di tutoraggio robusti e stabili, per ridurre il rischio di vibrazioni, le quali generano sia rotture dei fasi linfatici lungo il fusto, sia soprattutto reazioni anomale alla base del fusto, con proliferazione abnorme di tessuti meccanici di reazione (“piede d’elefante”).
Anche la raccolta, infine, richiede perizia. L’ideale è quello di raccogliere i frutti sempre tramite taglio del picciolo nel punto di attacco al nodo, facendo uso di lame molto affilate (bisturi). La raccolta manuale genera profonde ferite che sia deprezzano il frutto e ne riducono la shelf-life, sia aprono una via privilegiata agli attacchi di Botrite nel fusto, con perdita frequente dell’intera pianta.
Una coltura affascinante, dunque, ma che va ben conosciuta e rispettata.
L’autore è del Ceres srl – Società di Consulenza in Agricoltura
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