La fertirrigazione è un potentissimo strumento per avere successo nelle colture ortofloricole protette. Dal punto di vista dell’agricoltore: massimizza le rese e migliora la qualità. Dal punto di vista più generale dell’ambiente e del sistema orticolo: riduce gli sprechi di acqua e concimi, quindi anche i costi di produzione.
Per ottenere ciò, tuttavia, richiede conoscenze specifiche ed estrema precisione nella sua esecuzione pratica. Innumerevoli, per non dire infinite, infatti, sono le possibili fonti di errori, talvolta anche macroscopici e irrimediabili.
La fertirrigazione, per funzionare davvero, deve essere interpretata come una scienza esatta, una lunga e ininterrotta catena di decisioni ponderate, che cominciano con il corretto campionamento di acqua e substrati (naturali o artificiali), per sottoporli ad analisi; prosegue con il calcolo preciso delle formule nutritive e il loro adattamento alla varietà coltivata e al suo stadio fenologico; finisce con il preciso dosaggio di acqua e fertilizzanti in base alle condizioni del substrato e del micro-clima; da qui il ciclo ricomincia con campionamenti e analisi periodici per verificare ed eventualmente correggere la risposta delle colture.
Analisi dell'acqua
Il “ciclo virtuoso” inizia dunque con un corretto campionamento dell’acqua irrigua a disposizione, cioè con il prelievo di un “campione significativo”.
Già a questo primo gradino si incontrano spesso nella pratica errori macroscopici, capaci di rendere inefficace tutto il processo successivo. Ne elenchiamo solo alcuni dei più frequenti: usare acque superficiali (fiumi, canali, dighe, etc.) soggette a fluttuazioni stagionali di composizione; prelevare campioni da pozzi fermi da molto tempo; utilizzare contenitori sporchi per il prelievo; prelievi da bacini di stoccaggio all’aperto, in cui si raccolgono in maniera discontinua acque di superficie o di falda e acque piovane.
Il primo punto importante, per dichiarare “significativo” il campione, è dunque la certezza che l’acqua che manderemo al laboratorio rappresenta la stessa che useremo durante tutta la stagione di coltivazione. Se la fonte idrica dovesse subire modifiche importanti nel tempo, ovviamente andrà rifatta l’analisi: banale, ma spesso non è così.
Il secondo passo è quello di far arrivare il campione quanto prima e senza alterazioni a un laboratorio specializzato, che sia in grado di effettuare velocemente, e a prezzi accettabili, l’analisi completa di macro- e micro-elementi, oltre ovviamente alla Elettro-conducibilità (E.c.) e al pH.
Alcuni laboratori, pur disponendo di tecnici e strumenti di prim’ordine, talvolta non sono “tarati” per analisi di acque da usare per piani di fertirrigazione ma, ad esempio, lo sono su indagini sulla potabilità o su possibili inquinamenti delle acque, quindi non restituiscono all’agricoltore o al tecnico i valori richiesti per elaborare i programmi di fertirrigazione.
Nella Tabella 1 abbiamo riassunto i principali parametri richiesti per un’analisi finalizzata a realizzare dei piani di fertirrigazione. Sono compresi sia i macro-elementi, suddivisi in anioni, cioè elementi con carica negativa, e cationi, con carica positiva, espressi in milli-moli/litro (mmol/l), sia i micro-elementi, espressi in micro-moli/litro (μmol/l), oltre all’E.c., espressa in milli-siemens/cm a 25°C (mS/cm).
Molti laboratori, per accontentare gli agricoltori che hanno poca dimestichezza con unità chimiche quali le mmol/l, forniscono spesso i valori in termini di ppm (parti per milione) o mg/l. Ovviamente è possibile convertire mmol/l in ppm e viceversa ma, per semplificare il lavoro di chi deve poi calcolare le formule nutritive, sarebbe bene fornire i valori direttamente in mmol/l, cioè in unità chimiche.
Assolutamente inutile, invece, ai fini della fertirrigazione, fornire i valori in unità fertilizzanti quali N, P2O5 o K2O, che non hanno alcuna attinenza con quello che le piante assorbono, cioè ioni carichi elettricamente (NO3-, NH4+, H2PO4- o K+).
Un’ulteriore cortesia dei laboratori sarebbe quella di calcolare immediatamente anche la somma di anioni e cationi in termini di milli-equivalenti/litro (me/l), unità chimica che tiene conto della valenza degli ioni in soluzione, cioè della loro carica elettrica (ad es.: potassio = K+, una carica positiva; calcio = Ca++, due cariche positive). Questo permette, tra l’altro, di verificare subito anche la sostanziale corrispondenza tra la somma degli anioni e dei cationi in termini di me/l, così da individuare eventuali errori analitici o di trascrizione.
Interpretazione delle analisi
Per esemplificare alcune problematiche relative alle acque irrigue, in Tab. 1 abbiamo riportato 5 esempi di altrettanti campioni di acque di pozzo di diversa provenienza: 1) Larache, Nord del Marocco, coltura: fragola; 2) Sahara, Marocco, melone; 3) Afyon, Turchia, pomodoro; 4) pianura Padana, Italia, pomodoro; 5) Napoli, area vesuviana, gerbera.
Come si può notare, si tratta di acque molto diverse, sia quanto alla salinità (E.c.), sia quanto alla composizione in macro- e micro-elementi. La più “dolce” (E.c. = 0,330 mS/cm), ad esempio, è quella di Larache, Nord del Marocco, perfetta per fragole e piccoli frutti, che gradiscono basse salinità. Questo spiega tra l’altro il boom della fragola in quell’area, che in pochi anni è passata da ca. 300 a ca. 3.000 ha.
La più “salata” è la n. 2, con quasi 3,0 mS di E.C. Come spesso accade in ambiente mediterraneo, gran parte dell’E.C. è dovuta al Cloruro di sodio (NaCl). Anche i solfati (SO4=) eccedono il fabbisogno di tutte le possibili colture orticole protette, per cui sarà opportuno non aggiungerne altri con i concimi.
Molti agricoltori temono acque con salinità così elevate. In effetti con un’acqua come la n. 2 è possibile ipotizzare solo colture molto tolleranti, come il pomodoro ciliegino, o talune varietà di melone. Altra regola: più è alta l’E.c., più risulta conveniente il passaggio ad una coltura fuori suolo, soprattutto se si usano substrati fibrosi come il cocco. Ovviamente si dovrà tenere sotto controllo l’accumulo di sodio nel substrato, impostando percentuali di drenaggio elevate (45-55%), e tenendo sempre alto e costante il contenuto idrico, ma in cambio si otterranno frutti di elevata qualità (°Brix alto, sapore sapido, colore intenso, etc.).
La regola si può quindi esprimere anche in altro modo: il miglior modo per utilizzare una brutta acqua è di trasformarla in una buona soluzione nutritiva per il fuori suolo.
L’acqua n. 3 proviene da un’area geotermica, quindi è logico aspettarsi valori di boro estremi (B = 120 μmol/l, contro un massimo di ca. 45-50 μmol/l, tollerato dalla maggior parte delle colture orticole). Le 120 μmol/l di quest’acqua sono assai difficili da gestire, per cui sarà opportuna l’adozione di un impianto di de-borazione chimica. Le 56 μmol/l di boro della n. 2, invece, sono gestibili per via agronomica, mantenendo il pH nel substrato più alto del normale (ca. 6.5-6.7), per ridurne la disponibilità.
Molte acque irrigue in Marocco presentano valori di boro tra 30 e 50 μmol/l, più che sufficienti per tutte le colture protette, sia in suolo che fuori suolo, eppure è assai fiorente in quel Paese il mercato dei micro-elementi a base di boro, o di miscele pronte a base di Fe, Mn, B, Zn e Cu, dove evidentemente il boro è di troppo. Ottimo esempio di quanto importanti siano le analisi complete (e corrette) delle acque irrigue, per evitare errori macroscopici.
Rimanendo in tema di micro-elementi, si nota un valore anomalo di zinco nel campione n. 4. Tale evento si verifica di solito quando il pozzo è “incamiciato” con tubi in ferro zincato e si preleva il campione dopo un lungo periodo di inattività dello stesso. In tali casi si consiglia ovviamente di ripetere il campionamento dopo aver riattivato la pompa sommersa per alcune ore.
Altri due parametri anomali che balzano all’occhio, nel campione n. 4, sono il calcio e il magnesio. Per coltivare pomodoro il loro contenuto nell’acqua irrigua è già circa l’80% del totale richiesto, quindi se ne dovrà tener conto nelle formule. Anche i bicarbonati sono molto elevati (6,80 mmol/l HCO3-), per cui sarà opportuno utilizzare sia l’acido nitrico, che l’acido fosforico, per correggere il pH, cioè per distruggere tali bicarbonati.
Nel campione n. 5, invece, troviamo molti valori anomali: molti bicarbonati, ma soprattutto alta presenza di fosfati, nitrati e ammonio e, tra i micro-elementi, di Fe, Mn, Zn e Cu. Pur presentando un’E.c. abbastanza elevata per una coltura floricola (1,0 mS), l’acqua è facilmente utilizzabile per una coltura di gerbera, sia in suolo che fuori suolo. Tali eccessi, tuttavia, possono far sospettare la presenza di importanti fonti di inquinamento della falda, per cui in questi casi è consigliabile aggiungere all’analisi standard anche la ricerca di metalli pesanti ed eventuali inquinanti organici.
Analisi del substrato
Con soli 5 esempi abbiamo cercato di evidenziare l’importanza di una buona e completa analisi dell’acqua irrigua, al fine di poter sia scegliere le colture più adatte all’uso di talune fonti, sia di formulare corrette ricette di fertirrigazione.
Non meno importanti sono le analisi dei substrati, soprattutto se si tratta di materiali “naturali”, quali il suolo aziendale, o sostanze per il fuori suolo, quali la torba, la fibra di cocco o la posidonia (alga). Nel caso di prodotti “industriali”, infatti, quali lana di roccia o perlite, poiché si tratta di materiali abbastanza standardizzati, l’analisi è meno importante, in quanto facilmente reperibile.
Di tutti i substrati, naturali o artificiali, più che le analisi chimiche, cioè il contenuto di macro- e micro-elementi dell’“estratto acquoso”, sono fondamentali quelle fisiche. Tra queste le più importanti sono la porosità totale e la sua ripartizione in capacità per l’aria (pori che possono essere occupati dai gas atmosferici, tra cui soprattutto l’ossigeno) e capacità idrica (porosità che può essere occupata dalle soluzioni nutritive). All’interno di quest’ultima è fondamentale conoscere l’acqua facilmente disponibile”, cioè la frazione che le radici delle piante possono assorbire con basso dispendio di energia. Tutti questi parametri sono espressi in % sul volume totale.
Nella pratica quotidiana, purtroppo, troviamo spesso a disposizione del coltivatore solo le analisi chimiche, che però sono meno decisive per chi pratica la fertirrigazione. Dopo pochi giorni o poche settimane d’uso, infatti, il contenuto originale di elementi nutritivi di un suolo o di un substrato artificiale verranno “rimodellati”, o addirittura completamente sostituiti dal piano di fertirrigazione.
Il processo è rapidissimo nei substrati con minore capacità di scambio cationico (c.s.c.), quali un terreno sabbioso o un sacco di perlite, più lento quanto maggiore è il contenuto di argilla (suolo) o di fibre organiche (terreno torboso o cocco, ad esempio), ma prima o poi arriva a stabilizzarsi. Un esempio è il contenuto iniziale di sodio e potassio della fibra di cocco, che è sì importante conoscere quando si acquista il materiale ma poi, anche in caso di alte concentrazioni iniziali, o perché non è stato lisciviato con acque dolci, o perché non è stato scambiato con sali di calcio, comunque va a diminuire fino a stabilizzarsi in massimo 4-6 settimane.
Impronte digitali
A questo punto quello che conta veramente, ciò che rimane indelebile come le “impronte digitali” di un substrato, sono i suoi parametri fisici, che purtroppo molto spesso l’azienda non conosce.
Alla fine il parametro fondamentale che l’agricoltore deve conoscere, per poter impostare la corretta strategia irrigua giornaliera (orario di inizio e fine delle irrigazioni, loro durata e frequenza, etc.), è soprattutto il volume di suolo o substrato a disposizione delle radici e il suo contenuto idrico.
Quanto alle analisi chimiche del substrato, queste possono essere utili a questo punto ogni circa 2-3 settimane, per verificare la reazione delle colture alle formule somministrate e per poterle ricalibrare con sempre maggiore precisione.
Di questo, del calcolo e ri-calcolo delle “ricette nutrizionali”, dei sistemi di dosaggio delle soluzioni madri di macro- e micro-elementi, della strategia di fertirrigazione in base agli stadi fenologici delle colture e al micro-clima, parleremo in articoli successivi.
Come si vede, siamo arrivati solo al primo gradino, scelta e analisi di acque e substrati, e già si conferma quanto importante sia ogni singolo passaggio sul risultato finale. Non c’è alcun dubbio: la fertirrigazione è una scienza esatta e come tale non va mai sottovalutata, nemmeno dai più esperti, perché l’errore è sempre dietro l’angolo.
L’autore è del Ceres S.r.l. – Società di Consulenza in Agricoltura