Biochar, oltre la torba

lisimetro
Ottimo ammendante ecologicamente sostenibile, è utilizzabile nei terricci e substrati di crescita per le colture ortovivaistiche

Aumento della fertilità del suolo, miglioramento delle produzioni in quantità e qualità, sequestro del carbonio evitandone la dispersione nell’atmosfera. Sono i vantaggi operativi, per i terreni, gli agricoltori e l’ambiente, che fornisce il biochar (bio- significa “pertinente alla vita”, dal greco antico bios, -char è la parte iniziale dell’inglese charcoal, carbone di legna o carbonella), cioè il carbone ottenuto dalla piròlisi della biomassa. Vantaggi confermati da due progetti di ricerca sull’utilizzo del biochar in agricoltura condotti dall’Università di Foggia: il progetto Mipaaf Oiga “Autonomia energetica e sequestro di carbonio tramite biochar: una strategia win-win per le aziende olivicole” - Agri-char e il progetto Pon eco_P4 “Promozione di processi ecosostenibili per la valorizzazione delle produzioni alimentari pugliesi” - Attività 3.1.4 “Messa a punto di un nuovo prodotto di origine agroforestale da impiegare come ammendante d’avanguardia e fertilizzante organico dei suoli agrari”. Referenti di tali progetti sono Massimo Monteleone, docente di “Ecologia agraria” presso il Dipartimento di Scienze agrarie, degli Alimenti e dell’Ambiente (Safe) dell’Università di Foggia e coordinatore scientifico del progetto Europeo (7PQ) star* AgroEnergy, ed Angela Libutti, ricercatrice in “Agronomia e coltivazioni erbacee” presso il Dipartimento Safe e coordinatore scientifico dei due progetti sul biochar.
«Gli scarti di natura lignocellulosica, come i residui di potatura, le frasche dell’olivo, i sarmenti della vite, le paglie dei cereali, ecc., possono subire un processo di valorizzazione termochimica tramite piròlisi (o piroscissione). – introduce Monteleone – Questo è un processo di decomposizione termochimica di materiali organici, ottenuto mediante l’applicazione di calore e in completa assenza di ossigeno. In pratica la piròlisi degrada la biomassa in tre sottoprodotti di grande utilità: una frazione liquida, il bio-olio, utilizzabile come se fosse biodiesel per generare energia elettrica o termica; una frazione gassosa, il syngas, anch’essa adoperabile in motori endotermici per produrre energia elettrica o calore; una frazione solida, il biochar, che potrebbe essere utilizzata a scopo energetico, ma che è preferibile impiegare come ammendante per i numerosi vantaggi che apporta».
La piròlisi della biomassa non comporta la combustione completa del carbonio in essa presente, spiega Libutti. «Se si riscalda la biomassa in presenza di ossigeno avviene una combustione completa che genera calore e produce ceneri e gas nocivi quali ossidi di azoto (NOx) e di zolfo (SOx); se invece la si riscalda in totale assenza di ossigeno, essa subisce la scissione dei legami chimici originari con formazione di molecole più semplici. Il carbonio solo in parte viene mineralizzato e si cristallizza in strutture carboniose più stabili. In pratica, con il biochar una parte del carbonio (circa il 50%) non ritorna in forma gassosa (CO2) nell’atmosfera, a patto che non venga ulteriormente bruciato, ma permane in forma residuale, conservando una struttura tridimensionale. Mentre il carbonio presente nel compost o nel letame aggiunto a terreno viene gradualmente mineralizzato, il carbonio residuo del biochar rimane stabile, refrattario a ulteriori mineralizzazioni. In tal modo si riducono le immissioni di CO2, uno dei principali gas serra. Così questo gas non viene più disperso nell’atmosfera, anzi viene sottratto a essa e sequestrato nel terreno per centinaia di anni, favorendo la mitigazione dei cambiamenti climatici. Perciò il biochar si presta a essere incorporato come ammendante nel terreno: non lo fertilizza direttamente, in quanto il carbonio quasi puro non viene impiegato dai microrganismi e pertanto non rientra nel ciclo di trasformazione dell’humus, ma ne migliora la permeabilità, la porosità, l’aerazione e la capacità di trattenere l’umidità».
Il biochar si contraddistingue infatti per la struttura altamente porosa e il notevole sviluppo superficiale, sottolinea Monteleone. «Proprio grazie a tali caratteristiche il biochar vanta importanti proprietà chimico-fisiche: elevata capacità di ritenzione idrica, cioè di trattenere l’acqua e cederla gradualmente alle piante; alta capacità di scambio cationico, cioè di trattenere i cationi, come Ca++, Mg++, K+, ecc., che sono gli elementi nutritivi delle piante; riduzione dei problemi di lisciviazione dei nutrienti e in particolare dei nitrati; elevata capacità di chelazione, che si rivela utile per risanare i terreni contaminati bloccando i composti chimici, organici e inorganici, aventi potenziale tossicità; miglioramento della struttura del suolo e quindi della sua permeabilità e lavorabilità; riduzione notevole della densità apparente del suolo, che rimane soffice e si compatta più difficilmente. L’unico aspetto negativo del biochar potrebbe essere il suo pH molto basico (9-10), sebbene il potere tampone del terreno ne mitighi fortemente l’effetto».
Oltre alle proprietà chimico-fisiche, aggiunge Libutti, il biochar può vantare un grande pregio dal punto di vista microbiologico, «poiché l’alto livello di porosità offre maggiori opportunità alla colonizzazione microbica. Nel terreno addizionato con biochar abbiamo osservato una più elevata presenza di micorrize, che agevola la crescita delle piante in virtù delle sinergie che si stabiliscono fra apparati radicali e micorrize».
Proprio grazie alle proprietà chimico-fisiche e microbiologiche, il biochar garantisce l’aumento della fertilità integrale del suolo e quindi il miglioramento quali-quantitativo delle produzioni. Monteleone e Libutti lo hanno verificato effettuando sia prove in pieno campo, in due aziende orticole foggiane, l’Azienda agricola Matteo Pazienza di San Giovanni Rotondo e l’Azienda agricola Rocco D’Achino di Lucera, sia prove in vasi lisimetrici, presso una serra in dotazione al Dipartimento di Scienze Agrarie, degli Alimenti e dell’Ambiente.
«Abbiamo messo a confronto diverse quantità di biochar ricavato da scarti di potatura di olivo in un piccolo impianto pirolitico attivo nella stazione operativa (Facility centre) di STAR* AgroEnergy, che si trova nella zona industriale Asi - Incoronata di Foggia, su colture di cicoria, lattuga, radicchio, zucchino e pomodoro da industria. – informa Monteleone – In campo ogni parcella è stata preparata accuratamente per tenere sotto controllo tutti i parametri agronomici. Abbiamo fatto scavare trincee profonde 70-80 cm, poi impermeabilizzate con un telo plastico, posizionando al fondo dei dreni per raccogliere l’acqua di drenaggio. Al terreno sono state applicate nei primi 20 cm quantità differenti di biochar: l’1% in peso , pari a 24 t/ha, il 2% in peso, pari a 48 t/ha, e così via. Il biochar è stato distribuito sulla superficie e dopo interrato e mescolato al terreno con una erpicatura. Poi abbiamo trapiantato le piantine delle diverse colture e, di seguito, applicato su queste tutte le ordinarie operazioni colturali. Anche i vasi lisimetrici sono stati approntati con percentuali diverse di biochar».
Gli effetti del biochar sono stati tutti positivi, «anzi eccellenti: – sottolinea Libutti – 1. Miglioramento dei parametri morfometrici delle piante, quali: altezza, numero di foglie, area della superficie fogliare e Lai (Leaf area index), contenuto in sostanza secca dell’intera pianta e delle sue parti (fusto, foglie e frutti); 2. miglioramento dei parametri qualitativi su ortaggi da foglia (cicoria, radicchio, lattuga): indice di colore, indice Spad (Soil plant analysis development), che indica lo stato nutrizionale delle piante in relazione al contenuto in azoto, indice Rwc (Relative water content) delle foglie, che indica il loro stato idrico; 3. miglioramento dei parametri qualitativi su ortaggi da frutto (pomodoro e zucchino): acidità titolabile e pH, importanti sul pomodoro, e peso, lunghezza e diametro, importanti sullo zucchino; 4. incremento medio del 20% delle rese delle diverse colture, risultato di particolare interesse; 5. un notevole risparmio idrico».
In particolare, puntualizza Monteleone, «la dose al 2% in lisimetro ha determinato la progressiva selezione di popolazioni di funghi micorrizici arbuscolari (Amf) capaci di instaurare una simbiosi più efficiente, cioè con maggiore intensità di colonizzazione e abbondanza di arbuscoli. Le dosi al 4% e 8% (in lisimetro) e al 2% (in pieno campo) hanno determinato l’incremento dei batteri totali. Le dosi al 4% (in lisimetro) e al 2% (in pieno campo) hanno causato una modifica delle comunità microbiche, in particolare di quelle ammonio ossidanti. Evidenzio che l’aggiunta di biochar ha determinato l’incremento della ritenzione idrica del suolo con diminuzione conseguente dei volumi irrigui di circa il 20% alla dose del 2% e fino al 50% alle dosi del 4% e 8% di biochar aggiunto (in lisimetro). Da rimarcare gli effetti positivi sulla fertilità, grazie alla maggiore disponibilità di elementi nutritivi, con incrementi produttivi fino al 50% alle dosi del 2% (in lisimetro) e 1% (in pieno campo) di biochar».
Questa sperimentazione è stata di grande rilevanza, perché, osservano Monteleone e Libutti, si è rivelata doppiamente vincente (win-win), cioè vantaggiosa per il suolo e per l’ambiente, così come per l’agricoltore.
«L’ottimo risultato ottenuto in pieno campo e nei vasi lisimetrici fa ben sperare per il possibile utilizzo del biochar nei terricci e nei substrati di crescita utilizzati per le colture ortovivaistiche. – auspica Monteleone – In tale direzione va l’inserimento del biochar, dalla scorsa estate, nell’elenco degli ammendanti ammessi in agricoltura, contenuto nel Decreto 22 giugno 2015 - Aggiornamento degli allegati 2, 6 e 7 al Dl n. 75 del 29 aprile 2010 “Riordino e revisione della disciplina in materia di fertilizzanti, a norma dell’articolo 13 della legge 7 luglio 2009, n. 88”. Insomma, il biochar può diventare un ottimo sostituto della torba, terriccio molto diffuso da decenni ma di origine fossile e quindi esauribile, tanto è vero che quasi ovunque nell’Europa centrosettentrionale le torbiere vengono chiuse e diventano aree protette. Invece il biochar rientra in un flusso circolare della materia: lo stesso agricoltore può ottenerlo da residui aziendali che egli trasforma con un piccolo impianto di pirolisi, da 50-100 kW. Così raggiunge più vantaggi: non solo ricava un ottimo ammendante a costi bassi, ma contribuisce a salvaguardare l’ambiente stoccando nel suolo quantità considerevoli di CO2».

Biochar, oltre la torba - Ultima modifica: 2016-02-27T15:54:40+01:00 da Lucia Berti

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