Lattuga, così si innova in una OP campana

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Dalla meccanizzazione delle principali operazioni colturali all’impiego di strategie di difesa a 360 gradi per contrastare i più temibili patogeni

L’esigenza di avere un prodotto di elevata qualità e che risponda pienamente alla richiesta della grande distribuzione, soprattutto in termini di residui chimici, spinge gli orticoltori a perseguire nuove innovazioni di coltivazione sperimentando tutte le novità sia di tipo agronomico sia tecnologico sulla lattuga e non solo.

Ne abbiamo parlato con quattro produttori campani che operano nelle province di Napoli e Caserta. Questi orticoltori conferiscono le loro produzioni, in tutto o in parte, alla Op “Ventrone” di Francolise (Caserta) che produce e commercializza ogni anno tra 18 e 20 milioni di cespi di lattuga.

Il 90% di queste sono della tipologia Cappuccio e Iceberg (in buona parte lavorata per la IV gamma), destinati alla gdo estera (Germania, Austria e Svizzera). Una percentuale di circa il 10% è invece rappresentata da Valeriana, Lattuga Gentile e Lollo.

«La lattuga – ci dice Pasquale Ventrone, amministratore della Op “Ventrone” e impegnato nella coltivazione di 15 ettari di lattuga in serra – è presente sui mercati quasi tutto l’anno.

In Campania le produzioni di pieno campo, con trapianti effettuati dalla seconda decade di agosto a tutto settembre, sono commercializzate da ottobre a metà dicembre. Successivamente, con i trapianti di marzo, si copre tutto il mese di maggio. Mentre quelle provenienti dalle colture protette, con trapianti effettuati da ottobre a febbraio, sono presenti sul mercato da novembre ad aprile».

Da sinistra: Pasquale Capezzuto, Angelo Capezzuto, Giuseppe Di Maio, Maria Pezone, Pasquale Ventrone

La meccanizzazione

Uno degli aspetti più complessi è rappresentato dalla sempre maggiore carenza di manodopera, come ci spiega Maria Pezone dell’azienda Egiziaca, che coltiva a Giugliano in Campania (Napoli) 100 ettari di lattuga (90% iceberg) per il 60% in pieno campo.

«Per fronteggiare la carenza di manodopera si ricorre a soluzioni smart, puntando sulla meccanizzazione del maggior numero di operazioni possibile. Nelle coltivazioni di pieno campo è possibile meccanizzare le operazioni di preparazione del letto di semina e trapianto utilizzando la baulatrice, la scerbatrice e la trapiantatrice. Anche la raccolta si può effettuare con l’utilizzo delle macchine».

Il loro impiego consente di rispettare le programmazioni colturali, aumentare la capacità produttiva, ridurre i costi di manodopera e quelli relativi alla scerbatura chimica effettuata con i pochi diserbanti consentiti per la lattuga.

«Quest’ultima operazione – aggiunge Pezone – venendo effettuata dalla macchina operatrice, minimizza gli input chimici forniti alle colture, per una gestione più sostenibile delle risorse, ma soprattutto per garantire un prodotto senza residui chimici. L’alternativa è quella della scerbatura, pratica valida ma molto onerosa. Purtroppo, però, gli anomali andamenti climatici degli ultimi tempi stanno rendendo sempre più complicato intervenire meccanicamente».

Nelle coltivazioni protette gli interventi meccanici sono limitati dalla tipologia di serra, anche se il problema del diserbo è fortemente ridotto dall’impiego della pacciamatura e dalla tecnica di solarizzazione che viene applicata, quando possibile, nel periodo estivo.

«Negli areali di coltivazione delle province di Napoli e Caserta – precisa Giuseppe Di Maio, titolare dell’omonima azienda che coltiva 15 ettari di lattughe in serra – le coltivazioni di lattuga sono prevalentemente effettuate in serre-tunnel di modesta altezza che non consentono l’ingresso delle macchine per il trapianto e la raccolta. Diverse aziende, però, grazie anche ai fondi del Psr stanziati per le misure di ammodernamento aziendale, si stanno orientando per ristrutturare gli impianti serricoli, proprio in previsione di un maggiore impiego della meccanizzazione anche nelle coltivazioni di lattuga in apprestamenti protetti».

Rotazioni e sovescio

Altre pratiche agronomiche sempre più diffuse tra gli orticoltori sono rappresentate dagli avvicendamenti e dal sovescio.

«La monocoltura è stata completamente abbandonata» precisa Pezone. «In pieno campo la nostra azienda avvicenda la coltivazione di lattuga con pomodoro da industria e/o anguria, in particolare della tipologia mini. Per il sovescio utilizziamo il sorgo, in particolare nelle coltivazioni protette, oppure del rafano o della senape nei terreni dove si presentano problemi di diffusone di nematodi».

Diverse, invece, sono le specie che seguono o precedono la lattuga in serra, come ci riferisce Angelo Capezzuto che, con il padre Pasquale, gestisce la Soc. Agr. “Capezzuto ortaggi” impegnata nella coltivazione di 15 ettari di lattuga in struttura protetta in provincia di Caserta.

«Solitamente, dopo la raccolta della lattuga, si procede al trapianto di peperone oppure cocomero, anguria o melone. Per incrementare la quantità di sostanza organica, invece, si può fare ricorso a prodotti pellettati di origine vegetale. Un altro accorgimento valido per migliorare le produzioni è il ricorso all’impiego di micorrize: ormai è prassi effettuare da uno a tre interventi, secondo le situazioni, apportando le micorrize con le prime fertirrigazioni» riferisce Capezzuto.

Strategie di difesa

Altra problematica di rilievo che i produttori di lattuga si trovano ad affrontare è la difesa dai più temibili patogeni, soprattutto Bremia e Sclerotinia. Nel caso delle coltivazioni protette, la corretta gestione delle aperture e degli interventi idrici consente di contenere gli attacchi dei patogeni.

«La principale arma per difenderci dalla temibile Bremia è rappresentata dalle varietà resistenti» racconta Ventrone. «Purtroppo, quest’anno le continue piogge di fine primavera, soprattutto nelle coltivazioni di Iceberg di pieno campo, hanno fatto "saltare" tutte le resistenze facendo emergere nuove razze. Le ditte coinvolte nei programmi di miglioramento genetico sono costantemente impegnate a selezionare nuove varietà resistenti». Gli attacchi di Bremia hanno risparmiato il primo ciclo di coltivazioni di pieno campo.

«Qualche difficoltà – aggiunge Pezone – l’abbiamo avuta con il ciclo primaverile che ha coinciso, nella parte finale, con le continue precipitazioni. A questo proposito, sono risultati utili i Dss (Sistemi di supporto decisionale), con relativi alert per la Bremia, che abbiamo installato sia in serra che in pieno campo, che ci hanno aiutato a scegliere il giusto momento di intervento e consentito di rispettare il nostro obiettivo di un prodotto a “residuo zero”».

Riguardo agli altri patogeni tellurici, in particolare la Sclerotinia, gli orticoltori si avvalgono dell’impiego di formulati biologici.

«Per il controllo della Sclerotinia in coltura protetta – precisa Pezone – ho verificato l’ottima efficacia del fungo Coniothyrium minitans che svolge azione eradicante in quanto interviene anche contro gli sclerozi del patogeno; in pieno campo, forse per le condizioni climatiche non sempre favorevoli che rendono anche più difficoltosa la gestione della sostanza organica, il fungo non esplica in pieno la sua azione».

Altri formulati microbiologici sono impiegati per la loro azione antagonista nei confronti dei patogeni tellurici (Fusarium, Rhizoctonia, ecc.). «In particolare – riferisce Di Maio – si utilizza il Trichoderma asperellum. Solitamente, il prodotto commerciale contenente le spore del fungo viene somministrato alla prima fertirrigazione utilizzando, indifferentemente, l’impianto di aspersione o quello a manichetta forata».

Il controllo degli afidi si effettua con prodotti naturali. «Si può usare l’azadiractina – precisa Capezzuto – che, tra l’altro, ha anche un effetto nematostatico. Il controllo dei nematodi, inoltre, può essere praticato utilizzando, in via preventiva, prodotti a base di estratto d’aglio, anche questi con buon effetto nematostatico».

Lattuga, così si innova in una OP campana - Ultima modifica: 2023-09-18T15:20:11+02:00 da Elena Barbieri

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