Pomodoro da mensa: Come produrre 200 kg/m2

Ricreare in serra il clima degli altipiani: elevata e costante illuminazione e arricchimento carbonico

Il pomodoro da mensa non è solo la coltura orticola oggi più coltivata al mondo, ma sicuramente anche quella su cui, negli ultimi anni, si sono concentrati i maggiori sforzi di ricercatori, genetisti e tecnici per migliorarne le tecniche colturali, le rese, le qualità organolettiche e commerciali e la differenziazione varietale.
Il parametro che sicuramente interessa di più gli agricoltori è la resa. Le conoscenze fisiologiche e agronomiche attuali permettono di affermare che sarebbe tecnicamente possibile una produzione apparentemente fantascientifica, ma solo per i non addetti ai lavori, di circa 200 kg/m², corrispondenti a 200 t/1.000 m², ovvero a 2.000 t/ha (20mila q/ha). Poiché esiste sul mercato una gamma veramente sterminata di varietà, che vanno da pochi grammi per frutto (tipi mini-cherry), fino ai beef insalatari da 400-500 grammi, ci si riferisce alla tipologia a “grappolo rosso” di grossa pezzatura (140-160 g/frutto), l’unica che abbia la potenzialità per raggiungere tale primato. 
 

 

LE MEDIE ATTUALI
Lo shock del lettore, a questo punto, potrebbe essere giustificato. In Italia, infatti, in colture a pieno campo, si parla al massimo di 10-12 kg/m², mentre per colture invernali su suolo, da settembre a maggio, in Sicilia, si ragiona al massimo su 20-25 kg/m² di questa tipologia (25-35 kg in serre riscaldate e con il fuori suolo). Nel Nord Italia, in serre tecnologiche, con anche la concimazione carbonica, nei cicli lunghi estivi (gennaiodicembre) si è arrivati a ca. 55 kg/m², mentre la media nazionale olandese è ormai oltre i 60 kg/m². In Olanda, però, ci sono anche serre altamente tecnologiche, che al fuori suolo e alla concimazione carbonica aggiungono l’illuminazione artificiale, dove si arriva oggi a 80-85 kg/m².
Il record mondiale, tuttavia, in serre commerciali, è già da alcuni anni che viene raggiunto negli Stati Uniti, e si aggira attorno ai 105-110 kg/m², mentre in unità sperimentali di piccolissima superficie si è già arrivati a ca. 115-120 kg/m².
Le particolari condizioni in cui è stato raggiunto negli Usa tale record aiutano a capire anche come sarebbe possibile pensare a un limite di circa. 200 kg/m² per questa specie. Le serre, innanzitutto, sono localizzate in altipiani desertici a bassa latitudine, ovvero in deserti a 1.000-1.500m di quota nel Sud degli Stati Uniti (Texas, Arizona), dove si verificano condizioni climatiche molto particolari: alta insolazione durante tutto l’anno e cielo sereno con scarsa umidità in quota, che filtrerebbe la radiazione solare; umidità relativa esterna molto bassa e notti fredde; grande disponibilità di acqua a bassa salinità, non solo per l’irrigazione, ma soprattutto per abbattere fortemente la temperatura diurna con sistemi evaporativi combinati (sprinklers sul tetto della serra, cooling system, fog system).
Cerchiamo dunque di capire come sia possibile ipotizzare rese così eclatanti. 
 

 

LA LUCE NON È MAI TROPPA
Una semplice visita a delle serre italiane da maggio ad agosto ci potrebbe far pensare che vi sia un limite alla radiazione solare, oltre il quale la pianta non è più in grado di aumentare ulteriormente la fotosintesi. La stragrande maggioranza di tali serre in estate, infatti, è coperta da reti ombreggianti fisse o mobili, o spruzzata con calce o vernici che riducono l’ingresso della luce.
Il motivo per cui le serre vengono imbiancate, tuttavia, non è per ridurre la componente fotosintetica della radiazione solare (la cosiddetta Par, Photosinthetic active radiation), ovvero quella compresa tra le lunghezze d’onda di ca. 400-700 nm, ma quella nel range dell’infrarosso vicino (Nir, Near infra red), che apporta solo energia termica ed è la maggiore responsabile del surriscaldamento (ca. 50% dell’energia termica è apportato dal Par e ca. 50% dal Nir).
Noi sappiamo, infatti, che quando la temperatura in serra supera i ca. 30 °C, inizia a carico del pomodoro da mensa tutta una serie negativa di effetti, soprattutto sulla testa (differenziazione della gemma apicale), sulla produzione di polline, che viene devitalizzato, con conseguenti aborti fiorali, ma anche sui frutti (eccessiva accelerazione del processo di maturazione, denaturazione dei pigmenti, ecc.).
 

 

TEMPERATURA SOTTO I 25 °C SENZA OMBREGGIAMENTO
È stato dimostrato sperimentalmente, ma anche nella pratica (vedi l’esempio degli Stati Uniti), che se si riesce a raffreddare la serra al di sotto dei 25 °C con sistemi evaporativi molto efficienti, non è necessario ricorrere anche all’ombreggiamento, ma la pianta è in grado di utilizzare quasi tutto il Par disponibile. Tra 17 e 24 °C la fotosintesi delle piante “di sole”, come il pomodoro, è infatti poco influenzata dalla temperatura (diverso è il caso delle piante “d’ombra”, come ad esempio la Saintpaulia, ma non sono oggetto di questo articolo).
Conclusione: se riuscissimo a mantenere in serra una temperatura diurna più o meno costante di 20-21 °C (per evaporazione o per filtraggio della componente Nir), pur in presenza di forte insolazione, e se riuscissimo a mantenere tutti i giorni una somma di radiazione di ca. 3.000 Joule/cm² (il valore che abbiamo naturalmente in giornate molto soleggiate in giugno e luglio) è stato calcolato che potremmo portare la resa del pomodoro a circa 140 kg/m². “È stato calcolato” significa che oggi sono disponibili e verificati sperimentalmente modelli matematici, algoritmi, in grado di simulare la reazione delle piante in modo estremamente preciso, una volta che la maggior parte dei fattori climatici e nutrizionali sono sotto controllo.
Per garantire una radiazione giornaliera costante di ca. 3.000 J/cm², ovviamente, non basterebbe solo la luce solare, soggetta comunque a fluttuazioni, anche a latitudini molto basse, ma occorrerebbe integrarla con l’illuminazione fotosintetica supplementare. 
 

 

MASSIMIZZAZIONE DELLA CO2
Oltre alla massimizzazione della radiazione Par, l’altro fattore fondamentale nell’ottimizzazione della fotosintesi è, ovviamente, la concentrazione di CO2 nella serra o, meglio, nella camera sottostomatica in cui viene assimilata dalle foglie delle piante e convertita in sostanza organica (zuccheri primari).
Come molti sanno, la concentrazione di CO2 nell’aria che respiriamo è di ca. 350 ppm (parti per milione), ma accanto alle città si arriva ormai anche oltre le 400-450 ppm. Sappiamo anche sperimentalmente che in una serra di pomodoro, pur in presenza di un efficiente ricambio d’aria con l’esterno, la concentrazione di CO2, in giornate soleggiate in cui la fotosintesi è molto attiva, per gran parte del giorno si scende a ca. 2002-50 ppm, perché viene assimilata continuamente dalle foglie. Da molte verifiche pratiche sappiamo che, anche solo a ripristinare la CO2 in serra a valori esterni (350-400 ppm), si può innalzare la resa del pomodoro da mensa di ca. il 15-20%. Se invece si riesce a salire a ca. 600-700 ppm, si ottiene un ulteriore aumento di produzione del ca. 10-12%. In “serre chiuse”, in cui si riesce a mantenere una concentrazione costante attorno alle 1.000 ppm anche d’estate, in quanto la serra viene raffreddata per ricircolo e condensazione dell’aria umida interna, senza bisogno di aprire le finestre, si può spuntare un ulteriore incremento di efficienza dell’8-10%.
Conclusione: tra la condizione “naturale” delle serre senza arricchimento carbonico (200-250 ppm) e il valore di ca. 1.000 ppm, è possibile ottenere un incremento di resa totale di ben il 35-40%. Poiché si tratta di una curva “a saturazione”, è stato osservato che, oltre le 1.000 ppm (costanti), si va incontro a incrementi sempre più decrescenti, tali da non giustificare ulteriori immissioni di CO2. Nelle “serre chiuse”, comunque, in alcuni periodi dell’anno e momenti della giornata, si arriva tranquillamente a 2.000-2.500 ppm.
Gli algoritmi, cui abbiamo accennato in precedenza, ci permettono oggi di stimare, in presenza di radiazione solare costante pari a 3.000 J/cm²/giorno e temperatura attorno ai 20-21 °C, oltre a una concentrazione costante di CO2 di ca. 1.000 ppm, un innalzamento delle rese potenziali da ca. 140 a ca. 165-170 kg/m².
 

 

L’ESCURSIONE TERMICA
Per arrivare al massimo oggi pensabile di ca. 200 kg/m², dovremmo ipotizzare anche una serra molto particolare, tutta da inventare, con un indice di trasmissione della luce pari a ca. quello del vetro puro, ovvero 90-93%. Una volta che il vetro viene fissato su una struttura di sostegno (serra), infatti, la trasmissività totale del sistema si abbassa a ca. il 75%, nelle strutture oggi più efficienti. Oppure dovremmo aumentare ulteriormente l’apporto artificiale di radiazione Par con lampade fotosintetiche molto potenti.
Abbiamo accennato alla temperatura notturna. Per ottenere tutto ciò abbiamo anche bisogno di notti molto fresche, ovvero con una temperatura non superiore ai 17-18 °C, ma l’ideale sarebbero notti a 12-13 °C, quello che naturalmente si hanno sugli altipiani desertici.
La notte fresca serve sia per creare un sufficiente differenziale di temperatura giorno/notte (DT o Dif), per guidare l’equilibrio vegetativo/ generativo delle piante, sia per accelerare la distribuzione di assimilati dai siti di produzione (source), ovvero le foglie, a quelli di utilizzo (sink) ovvero frutti e altri organi. Se gli zuccheri primari (trialosi), infatti, non vengono continuamente rimossi dai siti di produzione (tilacoidi dei cloroplasti), rapidamente raggiungono la saturazione e il processo fotosintetico rallenta fortemente, fino a fermarsi.
La bassa umidità relativa esterna diurna, invece, tipica del deserto, ci serve per massimizzare il raffreddamento evaporativo, ovvero per mantenere la temperatura al di sotto dei 25 °C e l’umidità al 65-80%, ecco spiegato l’altro “segreto” degli eccezionali record americani.
 

 

TECNICHE COLTURALI
È evidente, quindi, che il primo passo per ipotizzare rendimenti oggi (apparentemente) fantascientifici, è quello di ottenere un controllo totale, ovvero una massimizzazione dei principali fattori climatici: radiazione Par, innanzitutto, e poi concentrazione di CO2, temperatura diurna e notturna, umidità relativa.
Anche la nutrizione minerale, ovviamente, dovrà essere sotto controllo, e sappiamo ormai da tempo che anche questo è possibile con le tecniche di coltivazione “fuori suolo”, in cui le radici crescono all’interno di substrati più o meno inerti e sterili, nutrite con soluzioni nutritive complete di macro e micro-elementi, le quali vengono adattate continuamente alle fasi fenologiche della coltura.
Un ulteriore miglioramento dell’assorbimento di acqua e minerali è dato dall’uso di piante innestate su portainnesti vigorosi, dotati di radici abbondanti e ramificate. I vantaggi sono completamente assodati, tanto che in Olanda ormai da tempo il 100% del pomodoro da mensa è innestato.
Anche una gestione ottimale della pianta deve dare il suo (grande) contributo alle rese da primato ipotizzate. 
 

 

L’INDICE DI SUPERFICIE FOGLIARE
Il parametro fondamentale da massimizzare è l’Indice di superficie fogliare (Lai, Leaf Area Index), ovvero i m² di superficie fogliare (fotosintetica) per m2 di serra. In molte sperimentazioni sul pomodoro si è verificato che il Lai ottimale, per garantire rese da primato, è di ca. 3 (3 m² di foglie per m² di serra); in ogni caso non deve mai essere superiore a 4.
La maggior parte degli ibridi oggi disponibili, se non viene adeguatamente gestita la densità colturale (numero di piante, o meglio di steli, per m²) e la potatura verde, in rapporto alla radiazione disponibile e al carico metabolico (numero di frutti per m²), tendono a superare naturalmente il Lai di 4.
Se il Lai è eccessivo le foglie superiori della pianta raggiungono rapidamente la “saturazione fotosintetica”, mentre quelle sottostanti, ombreggiate dalle prime, non la raggiungono mai, quindi l’efficienza fotosintetica globale della chioma si abbassa. È questo, ad esempio, il motivo per cui si sta verificando che i materiali di copertura delle serre “a luce diffusa” danno incrementi di resa di ca. il 10%, rispetto a quelli “a luce diretta”, perché aumentano la disponibilità di radiazione per gli strati inferiori di foglie.
L’ottimizzazione del Lai, pertanto, richiede pure l’uso di modelli matematici, che permettano di regolare in tempo reale la densità fogliare, sia scegliendo la giusta densità di steli per m², sia regolando il numero di foglie per pianta, tramite la potatura verde sia delle foglie più vecchie, ma anche di quelle giovani della testa. Migliora l’intercettazione globale della luce, ma aumenta anche la forza del sink frutto, che quindi massimizza l’accumulo di zuccheri. Nel pomodoro da mensa di grossa pezzatura sappiamo oggi che il massimo di resa si ha quando ca. il 70% degli assimilati viene distribuito nei frutti e quando il loro contenuto di sostanza secca è di ca. il 5,5%. Si potrebbe spingere ulteriormente la resa abbassando questa percentuale, ma poi si avrebbero conseguenze negative sulla qualità, ovvero frutti più acquosi, meno saporiti e con shelf-life ridotta.
Un recente interessante miglioramento delle rese, a conferma ulteriore di quanto sia importante il rendimento globale della chioma, è venuto dall’uso di luci a LED all’interno della chioma. Essendo luci “fredde”, a differenza delle lampade a vapori di sodio (SON-T) che scaldano molto, possono essere inserite anche tra le piante e non solo sopra la testa dei pomodori.
Nelle “serre chiuse”, in cui si fa un uso continuo di sistemi di ventilazione forzata interna, per convogliare l’aria umida verso i condensatori che stanno lungo la testata delle serre, si è osservato anche un’altra interessante fonte di miglioramento dell’efficienza fotosintetica. Il continuo flusso d’aria riduce il cosiddetto “effetto barriera” attorno alle foglie, ovvero riduce lo spessore dell’aria che ristagna lungo il margine inferiore delle foglie, in cui sono localizzati gli stomi, aumentando così il deflusso della CO2 ambientale verso la camera sotto-stomatica in cui viene assimilata. 
 

 

NUOVI ORIENTAMENTI DELLA GENETICA
Tutti questi progressi nella conoscenza dei fattori climatici, nutrizionali e fisiologici, che ottimizzano la resa del pomodoro da mensa, stanno avendo importanti ricadute anche sul lavoro degli ibridatori, i quali prestano sempre maggiore attenzione, nel processo di selezione, a caratteri fino ad oggi un po’ trascurati: efficienza fotosintetica in condizioni di clima ottimale (massimizzazione di luce, CO2 e temperatura), profili della foglia che migliorano l’intercettazione della luce negli strati inferiori della chioma, regolazione “genetica” del Lai, massimizzazione della traslocazione di zuccheri verso i frutti.
I maggiori esperti mondiali del settore ipotizzano che il sogno dei 200 kg/m², visto il veloce avanzare attuale delle conoscenze, potrebbe diventare realtà in massimo 10 anni. Resterà da vedere, ovviamente, quale sarà il costo di tali rese, soprattutto dal punto di vista energetico, e come trovare il miglior compromesso tra rese e costi, comunque tutto fa pensare al momento che queste saranno le tendenze future nella coltura del pomodoro da mensa.
 

 

 

* Ceres srl – Società di consulenza in agricoltura

Pomodoro da mensa: Come produrre 200 kg/m2 - Ultima modifica: 2011-08-22T17:16:21+02:00 da Colture Protette

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