Recuperare, coltivare e valorizzare il patrimonio orticolo autoctono, attraverso la riproduzione diretta dei semi di varietà locali e la vendita di piantine dagli elevati standard qualitativi ad agricoltori professionali e a hobbisti. È l’originale percorso che ha contraddistinto l’azienda agricola Ortovivaistica di Francavilla Fontana (Br) sin dalla sua nascita, nel 1997. Un percorso fondato su due capisaldi: la ricerca e il miglioramento genetico di ortaggi locali, che non attirano l’interesse delle società sementiere ma muovono l’attenzione e la curiosità di hobbisti che li sentono parte integrante della propria cultura e di agricoltori che hanno intuito in essi nicchie di mercato neanche troppo piccole. Un percorso compiuto con successo, tanto che il vivaio francavillese, accreditato per la certificazione fitosanitaria, oggi vanta 40.000 m² di strutture all’avanguardia per la produzione di piantine orticole (da qualche tempo anche floricole) e un mercato fiorente dal Nord barese all’intero Salento.
«Ho intrapreso tale attività per ritrovare e riportare in salvo, evitando che si estinguano, vecchi sapori con cui sono cresciuto e a me cari, non solo per il piacere personale, ma pure per ampliarne la conoscenza e valorizzarli sotto il profilo commerciale – spiega il titolare del vivaio, Antonello Vecchio – . L’apprezzamento dei consumatori è notevole, infatti la richiesta degli hobbisti è elevata. Il problema è semmai trovare agricoltori che capiscano l’importanza sia genetica sia commerciale delle antiche varietà autoctone, ma, una volta compiuto questo salto culturale, diventano clienti fissi».
Un’alternativa
Ma la scelta di Vecchio deriva anche dalla voglia di offrire agli orticoltori un’alternativa alla critica situazione in cui tanti versano.
«È un fatto che oggi molte aziende orticole stanno con l’acqua alla gola, e con esse i vivai fornitori, perché accusano sempre maggiori difficoltà a gestire la coltivazione di varietà ibride. Queste vengono create in condizioni standard di temperatura, umidità relativa e sicurezza fitosanitaria, che però in campo non si ritrovano, per cui bisogna aiutare le piante intervenendo a più riprese con costosi agrofarmaci e concimi, a volte senza efficaci risultati. Una varietà indicata per la piana del Fucino, ad esempio, non si adatta bene qua o altrove, dove emette “figli” o esaurisce il suo ciclo montando a seme. Le varietà ibride, fuori dal loro ambiente naturale, sono stressate, in più vengono “spinte” per dare reddito, magari con rese eccessive ma a scapito della qualità. Invece le varietà autoctone hanno le loro “radici” genetiche in questo territorio, sono elastiche e si adeguano facilmente alle variazioni climatiche, sono rustiche e quindi resistenti alle avversità fitosanitarie».
L’Ortovivaistica riproduce nei propri campi prova il seme di tutte le varietà e selezioni autoctone che coltiva e commercializza, ottenendo piante portaseme attraverso la riproduzione massale.
«La riproduzione più complessa è quella del seme della Cicoria di Francavilla, una popolazione di cui coltivo otto selezioni con diversa durata del ciclo colturale, cioè con trapianti da fine luglio a fine gennaio e raccolte dai primi di settembre sino a fine maggio. La realizzo ogni anno su 1.000 m² di serra con l’ausilio delle api per favorire l’impollinazione: per ogni selezione incrocio quattro linee, ciascuna delle quali si distingue per una precisa caratteristica, cioè la precocità, la qualità della foglia, l’altezza, il sapore e in particolare la dolcezza della cima, per un totale di 1.500 piante. Ogni quattro anni cambio le quattro linee, non essendo stabili, perché il seme comincia a perdere la germinabilità, e cerco nuove linee. Ogni anno produco più seme soprattutto per le due selezioni più richieste, la “cinquantina” e la “settantina”».
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