Elevata produttività, grossa pezzatura (senza cali durante l’intero periodo di produzione e raccolta), facilità di stacco dei frutti, resistenza alle principali malattie (pianta rustica che non collassa), pianta con portamento compatto e ordinato, frutto consistente che “tiene” la maturazione, varietà che colora bene in autunno, bifiorenza o rifiorenza. Queste sono le caratteristiche essenziali che l’agricoltore chiede alle varietà di fragola che intende coltivare. E questi sono invece gli aspetti su cui punta il mercato, cioè il consumatore: frutto attraente con forma conico-allungata, buona pezzatura, uniforme ma non troppo elevata, colore rosso chiaro-aranciato lucido, buona consistenza della polpa e resistenza della buccia per garantire alta conservabilità e resistenza al trasporto (shelf life), ottima qualità organolettica con elevato grado Brix ed equilibrata acidità.
Le dinamiche del mercato della fragola sono state uno degli argomenti centrali del 2° Forum di nutrizione vegetale sulla fragola, organizzato dall’associazione Lameta (Libera associazione mediterranea tecnici in agricoltura) a Scanzano Jonico (Mt). Se ne è fatto interprete Carmelo Mennone, direttore dell’Azienda agricola sperimentale dimostrativa “Pantanello” di Metaponto (Mt), che ha in primo luogo rilevato l’importanza della coltura nel mondo, in Europa e in Italia.
La coltura
«L’Europa detiene il 64% della superficie coltivata a fragola nel mondo (Tab. 1). L’Italia, con circa 3.700 ha, occupa il 4% della superficie europea destinata a fragola, mentre la Polonia ne comprende il 54%, per produzioni estive, la Germania e la Spagna, concorerenti principali delle produzioni italiane, insieme con il Marocco, rispettivamente il 17% e il 9% (Tab. 2). In Italia la fragola viene coltivata per il 61% al Sud e il 39% al Nord: nel 2014 prima regione è risultata la Campania con 824 ha, seconda la Basilicata con 630 ha, terza il Veneto con 614 ha, seguono, distanziate, la Sicilia, l’Emilia Romagna, il Trentino Alto Adige, la Calabria, il Piemonte (Tab. 3; Fig. 1). Dagli anni ’70 a oggi è progressivamente calata la superficie coltivata a fragola nel Nord, fino al 1991 preponderante, mentre è di pari passo cresciuta quella investita nel Sud (Fig. 2)».
Molto diversificata, fra le più importanti regioni fragolicole italiane, è la distribuzione varietale. «La gamma varietale è velocemente mutata nel giro di pochi anni. In Campania, secondo dati Cso, nel 2009 prevaleva la varietà Camarosa (54% della superficie coltivata), seguita dalla Candonga (27%), mentre nel 2014 ha dominato la Sabrina (58%), cinque anni fa inesistente, che ha preceduto di gran lunga la seconda, Amiga (12%). In Calabria, secondo dati dell’Arssa-Regione Calabria, nel 2009 primeggiava la Camarosa (74%), scesa nel 2014 al 19% e superata da Babila (24%) e Rania (20%). In Basilicata, cioè nel Metapontino, secondo dati Cso, non si è verificata in questi anni una particolare diversificazione varietale, che si è invece avuta nei primi anni 2000: infatti la Candonga, che nel 2009 occupava il 77% della superficie a fragola, si è assestata nel 2014 all’81%, lasciando poco spazio ad altre varietà (Nabila, Sabrina, Pir 5, Fortuna, Jonica, Siba, Tethis)».
Piante fresche
Il passaggio dalle piante frigoconservate a quelle fresche (in Basilicata pari rispettivamente al 3% e al 96%, oltre all’1% di cime radicate) ha modificato il flusso di produzione, «prima concentrato in poco più di due mesi (dall’inizio di aprile ai primi di giugno), un periodo breve in cui si registrava un eccesso di prodotto di qualità media (Fig. 3), e ora dilatato in un più lungo arco produttivo temporale, che parte a gennaio, cresce gradualmente fino ai primi di aprile, vive la massima intensità sino a inizio giugno e poi declina velocemente fino all’autunno inoltrato, con un debole picco a ottobre (Fig. 4). Ora il calendario di commercializzazione della fragola italiana la vede presente sul mercato nazionale e su quelli esteri quasi tutto l’anno, sia pure con quantità diverse da mese a mese, e pressoché sempre di ottima qualità (Fig. 5)».
Il calendario
I vantaggi di un calendario di commercializzazione così rinnovato, ha sostenuto Mennone, «sono «molteplici: l’anticipo della produzione, con diversi benefici, fra cui la migliore distribuzione temporale della raccolta; la più agevole gestione della manodopera, fondamentale per l’intera frutticoltura metapontina viste le esigenze concomitanti di operai per altre colture, come pesco, albicocco e susino; la diminuzione degli impieghi di manodopera che si ripercuote positivamente sui costi di produzione; la minore durata del ciclo della pianta per il trapianto più tardivo; la migliore qualità dei frutti; la possibilità di moltiplicare le piante nell’areale (cime radicate), conseguendo piante vegetanti di buona qualità; il possibile sviluppo di un’attività vivaistica non presente nel territorio. Non mancano tuttavia alcuni svantaggi: infatti andamenti stagionali poco favorevoli, soprattutto ritorni di freddo tardivi, associati a un modificato comportamento vegeto-produttivo della pianta, cioè l’anticipo delle fasi di fioritura e maturazione, possono determinare, come è realmente accaduto, danni quanti/qualitativi rilevanti che spesso hanno inficiato il risultato economico. Ma i vantaggi, certi, superano nettamente gli eventuali svantaggi!».