Delle problematiche legate al controllo dei patogeni e dei fitofagi tellurici si è trattato diverse volte su questa rubrica, da quando – ormai diversi anni fa – l’uso del bromuro di metile è stato definitivamente vietato in agricoltura.
Attualmente, i prodotti con attività “fumigante” che hanno superato il vaglio della revisione europea e possono essere impiegati per la disinfezione del terreno, prima dell’impianto delle colture, sono tre: metam-sodio, metam-potassio e dazomet; i primi due commercializzati in forma liquida, il terzo in formulazioni granulari e tutti possono essere impiegati sullo stesso campo una sola volta ogni tre anni. Questi prodotti nel terreno rilasciano, per idrolisi, metil-isotiocianato, sostanza tossica ad ampio spettro, attiva quindi anche sugli insetti ed i nematodi, vari funghi tellurici e sui germinelli di alcune infestanti, sebbene con un livello di azione variabile per i diversi organismi.
L’uso del nematocida 1,3-D è stato vietato da qualche anno (non iscrizione in annex I) ma dal 2009 continua ad essere autorizzato, con provvedimenti temporanei, per usi di emergenza su poche colture per le quali si ritiene che non siano disponibili ancora valide alternative. Anche quest’anno il prodotto è stato autorizzato, con uso “di emergenza”, per la difesa fitosanitaria di diverse colture ortive: tabacco, melone, patata ed anguria (a partire dal 15 marzo fino al 12 luglio 2015), carota, fragola, pomodoro, melanzana, zucchino, insalate, radicchio, barbabietola da seme, bietola rossa e fiori (dal 1 giugno al 28 settembre 2015). L’1,3 D è solitamente utilizzato in associazione con Cloropicrina, sostanza attiva più spiccatamente fungicida ma ritirata dal commercio nel 2013. Anche questa sostanza ha ottenuto negli scorsi anni l’uso di emergenza che, al momento della redazione di questa nota (aprile), non è stato ancora concesso per il 2015.
Tra le diverse tecniche alternative o integrative alle limitate disponibilità di fumigazione con prodotti chimici, la “solarizzazione” sta trovando una crescente applicazione, soprattutto nelle aree più calde e soleggiate della penisola e nelle colture protette.
La solarizzazione si basa sullo sfruttamento del calore solare e dell’effetto serra per innalzare la temperatura degli strati superficiali del terreno a livelli capaci di devitalizzare alcuni patogeni o fitofagi.
In Italia il periodo dell’anno più caldo e soleggiato è quello che va da luglio ad agosto, pertanto chi intende utilizzare la solarizzazione, da sola o in abbinamento con altri metodi di disinfezione, deve programmare le operazioni in questo mese. La copertura del terreno con il telo solarizzante dovrà protrarsi per almeno quattro settimane al fine di garantire un efficace trattamento termico (i risultati migliori si ottengono mantenendo i primi 30-40 cm di terreno a temperature non inferiori a 45-50°C per circa 40 giorni).
Il terreno da solarizzare va ben lavorato almeno nei prima 30 cm, portato alla capacità idrica di campo prima di stendere i teli plastici trasparenti e mantenuto umido per tutta la durata del trattamento mediante un impianto ad ali gocciolanti. Le coperture devono consentire l’effetto serra; i materiali più utilizzati sono i film di PE, LDPE, PVC o EVA, con uno spessore di 0,03-0,05 mm.
La solarizzazione può essere integrata con l’addizione di dosi ridotte di geodisinfestanti, per migliorare il controllo dei parassiti tellurici e ridurre il tempo di copertura del terreno. Anche l’aggiunta di alte quantità di sostanza organica (letame, pollina, sovesci di brassicacee), che decomponendosi liberano calore e sostanze tossiche (ammoniaca, composti solforici, isotiocianati e altre sostanze volatili) ad azione biocida, aumenta l’efficacia della solarizzazione.
Nelle colture protette, infine, la solarizzazione a serra chiusa permette di aumentare ulteriormente la temperatura del terreno migliorando l’effetto del trattamento.
Dopo la solarizzazione è preferibile non rivoltare gli strati più profondi di terreno per evitare di portare in superficie quelli che sono stati meno interessati dall’innalzamento termico.
Un’altra alterativa ai fumiganti tradizionali è la “biofumigazione”, che può efficacemente essere abbinata alla solarizzazione. Questa tecnica sfrutta le proprietà di alcune specie vegetali (brassicacee e altre famiglie botaniche) che contengono nei loro tessuti glucosinolati. Tali composti sono alla base di un meccanismo di difesa attiva (glucosinolati-mirosinasi) che si scatena quando l’integrità cellulare è compromessa. Nelle cellule danneggiate i glucosinolati per idrolisi liberano isotiocianati e nitrili, composti tossici ad ampio spettro d’azione.
Alcune selezioni di Brassica juncea, caratterizzate da elevata produzione di biomassa e spiccata attività biocida, sono state selezionate dalla ricerca italiana per introdurle come colture da sovescio che, oltre all’effetto “biofumigante”, apportano una significativa quantità di sostanza organica al terreno. Verso i nematodi cisticoli (Heterodera spp.) o galligeni (Meloidogyne spp.) risultati interessanti possono essere ottenuti impiegando piante più spiccatamente nematocide, come il rafano e la rucola.
La biofumigazione può essere migliorata con la copertura del terreno dopo il sovescio con film plastici impermeabili che trattengono i composti tossici volatili. Ovviamente l’abbinamento alla solarizzazione consente di sfruttare gli effetti sinergici delle alte temperature e dello sviluppo degli isotiocianati, con interessanti risposte soprattutto negli ambienti dell’Italia meridionale che sono più caldi e soleggiati.
Attualmente sono disponibili prodotti commerciali a base di pellett o farine di semi deoleati di varie specie di brassicacee che possono essere distribuiti direttamente al terreno. Questa tecnica, oltre ad essere più pratica, consente di eliminare i tempi di coltivazione della coltura da sovesciare ed il consumo d’acqua per l’irrigazione. L’attività biocida, inoltre, è solitamente più spiccata poiché la concentrazione di isotiocianato liberato nel terreno è maggiore e più persistente rispetto al sovescio.
Una più recente evoluzione dell’uso di sfarinati o pellett di brassicacee è la formulazione di emulsioni concentrate contenenti i glucosinolati vegetali. Queste formulazioni, utilizzabili come ammendanti, consentono la distribuzione del prodotto per fertirrigazione mediante manichetta, rendendo possibile intervenire anche con la coltura in atto, interessando il terreno esplorato dalle radici.