Le norme generali che regolamentano la produzione e la commercializzazione dei materiali di propagazione delle piante da frutto, non provengono direttamente da iniziative del legislatore nazionale, bensì sono frutto di recepimenti di direttive e regolamenti comunitari. Solo i programmi volontari di certificazione nazionale, pur dipendendo dalla normativa comunitaria e risultandone fortemente vincolate, sono il frutto di libere scelte fatte nell’interesse della qualificazione delle filiera produttive e per la risoluzione di specifiche problematiche. A loro volta, per gli aspetti fitosanitari, le norme comunitarie devono tener conto delle linee guida emanate da organizzazioni sovranazionali, che raggruppano Paesi di ampie aree geografiche. È il caso dell’EPPO (“European Plant Protection Organization”) che raggruppa ben 50 Stati membri, quelli comunitari, della riva Sud del Mediterraneo fino a quelli baltici comprendendo anche alcuni stati asiatici. Obiettivo comune, è quello di armonizzare le procedure dei controlli da eseguire sul materiale vivaistico, al fine di facilitarne la movimentazione e gli scambi commerciali, garantendo l’assenza o la lotta a pericolosi organismi nocivi.
Tale premessa è utile al fine di riaffermare che quanto operato a livello locale deriva da processi complessi volti a tutelare gli interessi dell’intero sistema di produzione. Tutto ciò appare lineare e facilmente concordabile, se non fosse che l’attuazione di questi principi deve patire i lenti tempi burocratici, ed è spesso soggetta a interpretazioni sfacciatamente forzate, anziché perseguire il fine comune di supportare le filiere produttive.
Un lungo percorso legislativo in evoluzione e non sempre condivisibile
Ancora una volta, all’inizio di una nuova campagna vivaistica, che risentirà delle difficoltà che il comparto frutticolo ha sofferto nel corso del 2014, si prospetta all’orizzonte l’ennesimo riassetto normativo che il settore vivaistico dovrà affrontare. In un precedente editoriale (cfr. Frutticoltura n. 12/2012) fu illustrato lo stato dell’arte della normativa comunitaria sui materiali di propagazione che, nello spirito della “better regulation”, era proiettata ad esaminare una proposta di regolamento che la Commissione europea aveva presentato al Parlamento europeo e al Consiglio per raggruppare in un unico atto quanto trattato attualmente da 12 differenti specifiche direttive per le diverse specie. Esso riguardava gli aspetti relativi ai controlli ufficiali, la protezione delle novità varietali, i materiali riproduttivi vegetali e la ridefinizione di un quadro finanziario comune. La Commissione si era prefissata di completare l’iter di elaborazione e approvazione dei testi entro due anni (quindi 2014), oltre a preventivare un periodo di tempo della durata di tre anni per l’applicazione dei singoli regolamenti. La proposta di Regolamento si poggiava fondamentalmente su due pilastri: i registri varietali e la certificazione.
Al fine di esaminare la bozza di regolamento e di elaborare dei pareri in merito, il Mipaaf istituì un gruppo di lavoro a livello nazionale, che lavorò alacremente dall’autunno 2012 fino a tutto il 2013. Le criticità evidenziate dal gruppo di lavoro riguardavano:
• la definizione poco chiara e di difficile interpretazione di “materiale eterogeneo”, “materiale standard” e di materiale destinato ai mercati di nicchia;
• l’esenzione dalle norme per le micro imprese (con fatturati inferiori ai 2 milioni di Euro o con meno di 10 dipendenti, la quasi totalità dei vivai europei), ritenendo in questo modo che il rischio fitosanitario sia lo stesso per i grandi vivai, così come per gli hobbisti, senza tener conto della corrispondenza varietale e del corretto utilizzo delle varietà protette;
• la scarsa chiarezza e la difficile interpretazione degli ampi poteri di delega che il regolamento in discussione attribuiva alla Commissione.
Dal momento che la maggior parte degli Stati membri non condivideva i contenuti della bozza di regolamento, a dicembre 2013 la Commissione decise di ritirare il testo che aveva già subito un primo passaggio al Parlamento europeo. Ciò di fatto avrebbe comportato un periodo di vuoto legislativo considerato che la nuova CAC (“Conformitas Agraria Comminutitatis”) sarebbe dovuta entrare in vigore dal 1° gennaio 2019, e che fino ad allora non erano state approvate le norme attuative, su cui si discuteva ormai da sei anni.
Il quadro attuale
Con l’approvazione della Dir. 2008/90/Ce recepita nell’ordinamento nazionale con D. Lvo n. 124/2010, inerente la revisione delle norme obbligatorie, oltre alla qualità per la produzione e commercializzazione dei materiali di propagazione di cat. CAC, è stata prevista anche una certificazione volontaria a livello comunitario, con riclassificazione dei livelli sanitari del materiale certificato. I livelli futuri di qualificazione del materiale saranno: CAC – standard minimo obbligatorio comunitario – e Certificato – livello superiore di qualificazione su scala volontaria.
La categoria Certificato (europeo) prevede un solo stato sanitario e non più i due (virus esente e virus controllato) contemplati dalle norme nazionali. La categoria Certificato (europeo) è così del tutto simile al livello indicato dagli standard EPPO, ed è più vicina alla categoria virus-controllato di quanto finora previsto dalle norme nazionali di certificazione volontaria.
Al fine di evitare il periodo di vuoto normativo dovuto alla sospensione del regolamento prima citato, le misure applicative la CAC sono state approvate il 27 giugno u.s., e pubblicate sulla G.U. Ue n. L298/22 del 16/10/2014, con l’astensione di Italia e Spagna che, seppur per motivi diversi, non condividono molti punti.
Le misure applicative riguardano:
• la direttiva di esecuzione n. 2014/96/Ue della Commissione sulle prescrizioni in materia di etichettatura, chiusura e imballaggio dei materiali di moltiplicazione delle piante da frutto e delle piante da frutto destinate alla produzione di frutti;
• la direttiva di esecuzione n. 2014/97/Ue della Commissione sulla registrazione dei fornitori, delle varietà e l'elenco comune delle varietà;
• la direttiva di esecuzione n. 2014/98/Ue della Commissione sui requisiti specifici per il genere e la specie delle piante da frutto di cui al suo allegato I, i requisiti specifici per i fornitori e le norme dettagliate riguardanti le ispezioni ufficiali.
Le norme riguardanti la registrazione dei fornitori, il registro varietà e le prescrizione per gli imballaggi rendono uniformi ed omogenee le procedure per gli specifici aspetti per tutti i Paesi dell’Unione, favorendo in questo modo una razionalizzazione di processi produttivi e delle procedure dei controlli.
Per quel che riguarda gli aspetti qualitativi dei materiali di propagazione delle due categorie - CAC e Certificato, permangono le perplessità che hanno portato l’Italia ad astenersi dal voto. Dal punto di vista tecnico si segnala il regime di deroga che uno Stato membro può concedere autorizzando il mantenimento e la produzione in pieno campo dei materiali di cat. Base e Pre-Base.
Appare superfluo soffermarsi sui problemi che ciò comporterebbe, come i rischi legati alla trasmissione di organismi nocivi trasmessi da vettori alati - sharka delle drupacee, tristeza degli agrumi, pear decline, ecc. - che mostrano periodi di latenza e difficoltà diagnostiche nel caso di infezioni recenti anche con metodiche biomolecolari più sensibili come la PCR e la “real time PCR”.
Gli organismi nocivi da controllare per tutte le specie oggetto di regolamentazione sono riportati agli Allegati I, II, III e IV della direttiva di esecuzione n. 2014/98/Ue della Commissione. In relazione al loro comportamento epidemiologico, essi sono così raggruppati:
Allegato I: Parte A - organismi nocivi per cui ci deve essere l’assenza sostanziale dai materiali di propagazione; Parte B - organismi nocivi per cui ci deve essere l’assenza sostanziale dai materiali di propagazione e la cui presenza è ammessa entro determinati limiti di tolleranza.
Allegato II: organismi nocivi per la cui presenza sono richiesti l’ispezione visiva ed in casi particolari il campionamento e l’analisi. E’ il caso di virus, viroidi, fitoplasmi, agenti virus simili, funghi e nematodi endoparassiti.
Allegato III: nematodi vettori di virus.
Allegato IV: prescrizioni relative alle ispezioni visive, al campionamento e alle analisi delle singole specie
E’ bene sottolineare che ciò non riguarda gli organismi nocivi da quarantena (CTV – tristeza degli agrumi, PPV – sharka delle drupacee, colpo di fuoco batterico, ecc.), che sono oggetto di trattazione separata da parte della Dir. 2000/29/Ce, per la quale anche su proposta perorata da più anni dall’Italia, è in discussione una modifica di parte dell’All. IV per la loro trattazione anche all’interno degli schemi di certificazione volontaria.
Un altro punto che meriterebbe di essere affrontato e risolto, riguarda gli aspetti sullo stato sanitario delle piante. Esse vengono trattate da norme comunitarie differenti ed attuate in molti Paesi comunitari da funzionari di servizi separati – fitosanitario e della qualità – quasi a voler rimarcare che la pianta non è un unicum, ma qualcosa di composito, in ossequio alla sola separazione burocratica dei servizi da parte di organismi diversi dello stato! Forse l’Italia rappresenta una felice eccezione considerato che i controlli sugli organismi da quarantena e quelli di qualità sono effettuati da un unico soggetto rappresentato dai Servizi fitosanitari regionali.
Per i virus e gli organismi nocivi sistemici, la periodicità dei saggi prevista è eccessiva e non sono né indicate le specie degli indicatori legnosi per i saggi biologici. In generale non sono state chiarite le metodiche di analisi, rinviando a quelle indicate dalle linee guida EPPO. Queste ultime, però, non coprono tutte le specie e, in molti casi, non risultano aggiornate, prevedendo ancora metodiche di analisi ormai non più in uso, dando altresì la facoltà agli stati membri di adottare “… protocolli pertinenti stabiliti a livello nazionale con l’obbligo, su richiesta, di metterli a disposizione degli altri Stati membri e della Commissione”.
Sono previste tolleranze per alcuni patogeni come l’oidio della fragola (Podosphera aphanis), non ben valutando le difficoltà legate ad una simile prescrizione, specie in alcuni ambienti ed annate favorevoli per questo fungo. Viene normato anche il viroide del mosaico latente del pesco (PLMVd), recentemente oggetto di norme transitorie emanate con decreto ministeriale (DM 20/9/2014), che causa danni ingenti solo in alcuni contesti e i cui mezzi diagnostici ad oggi disponibili hanno mostrato difficoltà e limiti legati alla bassa concentrazione del viroide nei tessuti della pianta. Anche il suo decorso epidemiologico è a limitato impatto, considerata la bassa percentuale di trasmissibilità con gli attrezzi da taglio.
Si è quindi in presenza di norme frutto di compromessi, che in molti casi risentono più di approcci burocratici e prese di posizioni difese strenuamente nel corso degli anni, invece che di valide risposte sulla base di severe valutazioni del RPA (analisi del rischio potenziale) dei singoli organismi nocivi. E’ difficile quindi accettare queste nuove interpretazioni che rappresentano un pericoloso decadimento dei concetti e del significato della certificazione, come metabolizzati ed intesi a seguito del lungo processo di confronto ed unificazione dei programmi di qualificazione delle produzioni vivaistiche operate in passato su scala regionale, ora sotto un unico ombrello nazionale.
Nel caso italiano, dopo un lungo lavoro durato oltre 10 anni, si è riusciti finalmente a riavviare il sistema di certificazione volontario nazionale con i DDMM del 2003 e 2006 oltre che con le norme del 20/11/2006 che hanno stabilito i protocolli tecnici. Nel frattempo il sistema di certificazione nazionale è cresciuto, comprendendo uno zoccolo duro di oltre 100 aziende vivaistiche che operano in Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Prov. Autonome di Trento e Bolano, Toscana, Abruzzo, Puglia, Basilicata e Calabria e che rappresentano oltre il 95% della produzione nazionale. Nella corrente stagione i numeri, ancora parziali, parlano di:
• 200 milioni di piantine di fragola;
• 7,1 milioni di astoni di prunoidee e pomoidee;
• 0,2 milioni di piantoni di agrumi;
• 0,5 milioni di piantoni di olivo;
• 25 milioni di portinnesti.
Numeri importanti che potrebbero ulteriormente crescere se ci fosse la sicurezza delle norme che regolamentano il sistema, dando certezza ai cospicui investimenti privati profusi dalle aziende vivaistiche. Alla pari di quanto avviene in altri settori, di cui i media si occupano giornalmente, anche in agricoltura e per il vivaismo vale il concetto della certezza delle regole in una visione di medio-lungo periodo, al fine di dare una pur minima sicurezza agli investimenti necessari a sostenere il comparto e permettergli di erogare servizi e prodotti in linea con le aspettative dei frutticoltori.
Scenari futuri
Il nuovo assetto europeo, con la definizione di uno stato fitosanitario inferiore delle piante certificate rispetto agli standard italiani, finirà col penalizzare il livello qualitativo finora raggiunto dalle produzioni nazionali, equiparando con il termine certificato piante che non daranno la stessa garanzia di quelle nazionali. Anche le modalità di produzione e controllo dei materiali ed il processo produttivo, appaiono meno stringenti di quelle finora adottate ed accettate dalle aziende vivaistiche professionali. Il rischio concreto è che in futuro le filiere produttive nazionali potranno essere alimentate da materiali di propagazione che non assicurano le stesse garanzie oggi insite alle produzioni vivaistiche certificate “made in Italy”, con grave danno per l’intera industria frutticola italiana.
Pur con sacrifici e difficoltà, i requisiti attualmente previsti dalle norme della certificazione volontaria nazionale sono risultati attuabili e sostenibili sotto il profilo economico, consentendo al vivaismo italiano di essere competitivo a livello internazionale. Il quadro generale oltre ad essere compromesso da quanto sopra indicato, patisce la non unanime attuazione delle norme in tutte le regioni, dovuta anche alla crescente difficoltà dell’ente pubblico di far fronte ai compiti ad esso assegnati. Si verificano così comportamenti sperequativi che rischiano di essere fattore destabilizzante per l’intero settore.
Le produzioni a Marchio CIVI-Italia
Fatte queste considerazioni ed in piena armonia con le autorità ministeriali, il CIVI-Italia ha avviato un processo di “certificazione a marchio privato” che non disperda l’enorme lavoro finora svolto e, soprattutto, permetta alle produzioni vivaistiche nazionali di poter continuare ad essere qualificate con più elevati livelli di garanzia. Ciò permetterebbe di valorizzare il grandissimo patrimonio di fonti primarie con stato sanitario e corrispondenza varietale con un livello superiore di qualificazione di quanto la categoria Certificato europeo prevede. Negli ultimi anni alla loro costituzione hanno contribuito in maniera fondamentale i vivaisti che hanno richiesto la registrazione di oltre 300 accessioni di varietà di fruttiferi di recentissima costituzione.
E’ un processo che prevede la presenza dell’ente pubblico per gli aspetti istituzionali ad esso demandati - norme obbligatorie di qualità CAC e organismi nocivi da quarantena (passaporto delle piante Ce) - ma rafforza l’impegno e la responsabilità del CIVI-Italia nel garantire volontariamente livelli qualitativi superiori, come indicato nelle figure 1, 2 e 3. Le strutture operative di riferimento a servizio dei programmi di certificazione nazionale che operano la fase della conservazione e pre-moltiplicazione, che da sempre riforniscono i materiali per la costituzione dei campi di piante madri, rappresentano un punto di forza ed eccellenza per il sistema, assieme ai laboratori accreditati che le affiancano e che assicurano la massima garanzia di affidabilità e professionalità nelle attività diagnostiche e per la corrispondenza varietale.
Il disciplinare di produzione approntato e che al momento è alla verifica di un gruppo di ricercatori esperti per le diverse discipline, seppur rispettando alla lettera le norme obbligatorie comunitarie, prevede un livello di garanzia superiore, in linea con le attuali conoscenze nei campi della diagnostica e delle tecniche per l’accertamento varietale. La necessità di mantenere elevate le garanzie dei materiali vivaistici nazionali e scongiurare il rischio di avere piante di qualità inferiore, ma ugualmente indicate con il termine CERTIFICATO, è alla base dell’ambizioso progetto “Qualità a marchio CIVI-Italia” che ha preso forma in questi anni.
La consapevolezza sulla sostenibilità del sistema di certificazione com’è oggi strutturato da parte di quanti vi aderiscono su scala volontaria, costituiscono le solide fondamenta sulle quali si basano progettualità e proposte di CIVI-Italia. Considerate le peculiarità dei vivaisti aderenti al servizio di certificazione volontaria nazionale, oltre alle differenti condizioni operative nelle diverse regioni in relazione alle specie moltiplicate, è in fase di valutazione se avviare tale progetto solo per alcune di esse quali fragola, agrumi e melo, che esprimono una maggior concentrazione di prodotti con pochi fornitori. Una sfida ambiziosa del comparto professionale che vuol crescere e continuare ad offrire servizi di qualità per il pieno sostegno e rilancio delle filiere produttive nazionali.